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La ciclicità storica delle tragedie. – con “La Rabbia” di P.P. Pasolini

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Studiando la storia e le sue tragedie, penso che ognuno di noi avrà pensato almeno una volta:
“Ma com’è possibile che sia accaduto tutto ciò?”
“Le persone come hanno fatto a non rendersi conto di quello che stava succedendo?”
“Perché l’hanno permesso?”

Le tragedie storiche vengono sempre approcciate con lontananza, magari anche con un coinvolgimento emotivo in alcuni soggetti, ma come qualcosa temporalmente e mentalmente distante; cose “di tanto tempo fa”, cose di quando “c’era un’altra mentalità”.

Ma le persone di “tanto tempo fa”, con la loro altramentalità, non sono in realtà così distanti e diverse da noi e non si accorsero meno di quanto noi, oggi, ci accorgiamo di ciò che sta accadendo; non furono più complici e colpevoli di quanto lo siamo noi.

Gli avvenimenti odierni ci suggeriscono proprio questo; la massanon comprende la pericolosità di ciò che sta accadendo, ma non solo nella morte stessa che già basterebbe, ma nelle menti, nelle reazioni, nellesoluzioni che la gente pensa e vorrebbe.
Poco importa che una data situazione si sia creata anche per colpa loro, che qualcuno fugge da qualcosa che lui ha creato, l’attaccare e destabilizzare continuamente aree per il mantenimento di un’egemonia forzata; soprusi antichi, ma sempre uguali.

Ma chiaramente questo non è stato creato da lui, il cittadino tedesco, ungherese, italiano, francese, che si sveglia la mattina per lavorare, ma da chi lo rappresenta, o meglio, comanda.
Una persona pensante che comprende e ricorda le azioni di chi, appunto, lo comanda, non attaccherebbe il disgraziato, chi è dietro di lui, chi è costretto a scappare, ma se la prenderebbe con chi ha costretto quel qualcuno a scappare.
Ma se questa massa non conosce la realtà, perché l’unica di cui dispone è quella mistificata, oppure non la ricorda (per sua colpa), ecco l’occasione d’oro da parte dei veri colpevoli di rafforzare la propria posizione, girando le colpe dall’alto, verso il basso.

Quando un operaio se la prende per la propria condizione con un poveraccio, è il capolavoro delle classi dominanti.

Chi fa commenti ed esternazioni razziste, facendo leva proprio sull’attuale condizione della popolazione, caratterizzata da un’ignoranza dilagante, un analfabetismo funzionale, un’impossibilità di comprensione ed elaborazione della realtà (perché QUESTA è cultura, non è il sapere la capitale del Tagikistan, ma il riuscire a decodificare la realtà circostante in funzione del passato), condizione indotta anche dalle loro azioni politiche, fomentando una lotta fra poveri che non esiste; sta riproponendo e ricostruendo le basi di tutte le tragedie avvenute in passato, quelle tragedie che oggi ci inorridiscono e sembrano impossibili, ma che agli occhi dei contemporanei erano divenute “necessarie”, “inevitabili”, per assurdo “giuste”.

Chi si comporta in questa maniera lo fa senza dubbio per un interesse, che sia rivolto alla propria persona o dovuto a qualche gruppo che l’ha ordinato, poco conta, dato che le vittime sono sempre gli ultimi, i deboli.
Per un tedesco degli anni ’40, lo sconcerto per un bambino morto era totalmente differente se quel bambino era ebreo, dato che poi da grande “sarebbe diventato un ebreo come tutti gli altri”; a tale inumanità ci si arriva forzatamente, non è un processo spontaneo. Per questo tali esternazioni vanno assolutamente bloccate, non si può lasciare spazio a chi tenta di riportare le menti delle persone alla desensibilizzazione delle tragedie, un cancro morale che Pasolini, nella sua “Rabbia” così descrive:

“Il razzismo come cancro morale dell’uomo moderno, e che, appunto come il cancro, ha infinite forme. E’ l’odio che nasce dal conformismo, dal culto della istruzione, dalla prepotenza della maggioranza. E’ l’odio per tutto ciò che è diverso, per tutto ciò che non rientra nella norma, e che quindi turba l’ordine borghese. Guai a chi è diverso! questo il grido, la formula, lo slogan del mondo moderno. Quindi odio contro i negri, i gialli, gli uomini di colore: odio contro gli ebrei, odio contro i figli ribelli, odio contro i poeti. […]
È così che riscoppia la crisi, l’eterna crisi latente.”

Non si tiri in ballo il “diritto d’opinione e d’espressione”, l’inumanità non è opinione, lo sfruttare l’ignoranza e l’impossibilità di comprensione delle persone (a cui si è contribuito) non è espressione. Le persone che oggi vergognosamente in maniera goliardica rivendicano tale “diritto”, professano ideologie che nulla hanno a che vedere con quest’ultimo; il riferimento a Giorgia Meloni non è casuale.

Per commenti intendo il “vengono a rubare”, “li manteniamo noi”, “gli paghiamo gli alberghi” cose palesemente false, gli ipocriti “aiutiamoli a casa loro” e i vergognosi “bombardiamoli”.

Mai giudizio fu più corretto di quello del Voltaire, che ci rimprovera:
“Siamo abbastanza religiosi per odiare e perseguitare, e lo siamo troppo poco per amare e per soccorrere.”

Questo in un occidente indifferente, ma a singhiozzo; indifferente davanti a una dittatura all’interno dell’Unione Europea, come quella Ungherese (con l’apprezzamento, tanto per ricordarlo, anche di Grillo), ma che interviene in aiuto di un governo golpista e dichiaratamente nazista come quello Ucraino; indifferente nelle azioni contro un gruppo armato che sta distruggendo un’intera zona del medio oriente, l‘ISIS (formazioni istituite e finanziate proprio dall’occidente, come più volte confermato), ma interviene contro gli unici che si oppongono a quella distruzione, i curdi, di cui faceva parte anche quel bambino.

Ciò che sta accadendo, quando qualcuno lo studierà, tra settanta, cento anni, penserà:
“ma come fu possibile?” “come lo hanno permesso?”

Perciò, l’indignazione in questo momento non arrivi solo davanti alla morte, tragico epilogo di una triste storia, ma anche dalle motivazioni che hanno portato a quella morte.
Se conosciamo i motivi per cui è accaduto quel che vediamo in questa foto, la reazione di rabbia, funesta, è sinonimo di umanità.

Cerchiamo di sentirci coinvolti nello sdegno, nel dissenso, nella rabbia, nella lotta e non lasciamo che l’indifferenza ci coinvolga, per sempre, in questo delitto.

Che la terra ti sia lieve, Aylan.

 

Immagine di copertina tratta dalla prima pagina de “Il Manifesto”, 3 Settembre 2015.

 

 

Aggiungiamo il bellissimo e attualissimo pezzo di Pier Paolo Pasolini “La Rabbia” in forma _articoli_raro_video_rvd40189.jpgridotta:

“Cos’è successo nel mondo, dopo la guerra e il dopoguerra?

La normalità.

Già, la normalità.
Nello stato di normalità non ci si guarda intorno: tutto, intorno si presenta come “normale”, privo della eccitazione e dell’emozione degli anni di emergenza. L’uomo tende ad addormentarsi nella propria normalità, si dimentica di riflettersi, perde l’abitudine di giudicarsi, non sa più chiedersi chi è.

È allora che va creato, artificialmente, lo stato di emergenza: a crearlo ci pensano i poeti. I poeti, questi eterni indignati, questi campioni della rabbia intellettuale, della furia filosofica. […] L’Italia si […] prepara, appunto, a ritrovare la normalità dei tempi di pace, di vera, immemore pace. Qualcuno, il poeta, invece, si rifiuta a questo adattamento.[…]

È così che ricomincia nella pace, il meccanismo dei rapporti internazionali. I gabinetti si susseguono ai gabinetti, gli aeroporti sono un continuo andare e venire di ministri, di ambasciatori, di plenipotenziari, che scendono dalla scaletta dell’aereo, sorridono, dicono parole vuote, stupide, vane, bugiarde. Il nostro mondo, in pace, rigurgita di un bieco odio, l’anticomunismo. […] E la rabbia del poeta, verso questa normalizzazione che è consacrazione della potenza e conformismo, non può che crescere ancora.

Cos’è che rende scontento il poeta? Un’infinità di problemi che esistono e nessuno è capace di risolvere: e senza la cui risoluzione la pace, la pace vera, la pace del poeta, è irrealizzabile. Per esempio: il colonialismo.
Questa anacronistica violenza di una nazione su un’altra nazione, col suo strascico di martiri, di morti.

O: la fame, per milioni e milioni di sottoproletari.
O: il razzismo. Il razzismo come cancro morale dell’uomo moderno, e che, appunto come il cancro, ha infinite forme. E’ l’odio che nasce dal conformismo, dal culto della istruzione, dalla prepotenza della maggioranza. E’ l’odio per tutto ciò che è diverso, per tutto ciò che non rientra nella norma, e che quindi turba l’ordine borghese. Guai a chi è diverso! questo il grido, la formula, lo slogan del mondo moderno. Quindi odio contro i negri, i gialli, gli uomini di colore: odio contro gli ebrei, odio contro i figli ribelli, odio contro i poeti. […]

È così che riscoppia la crisi, l’eterna crisi latente.

[…] Cannoni che sparano, macerie, cadaveri per le strade, file di profughi stracciati, i paesaggi incrostati di neve. Morti sventrati sotto il solleone del deserto. La crisi si risolve, ancora una volta, nel mondo: i nuovi morti sono pianti e onorati, e ricomincia, sempre più integrale e profonda, l’illusione della pace e della normalità. Ma, insieme alla vecchia Europa che si riassesta nei suoi solenni cardini, nasce l’Europa moderna: il neocapitalismo; il Mec, gli Stati Uniti d’Europa, gli industriali illuminati e “fraterni”, i problemi delle relazioni umane, del tempo libero, dell’alienazione. La cultura occupa terreni nuovi: una nuova ventata di energia creatrice nelle lettere, nel cinema, nella pittura. Un enorme servizio ai grandi detentori del capitale.Il poeta servile si annulla, vanificando i problemi e riducendo tutto a forma. Il mondo potente del capitale ha, come spavalda bandiera, un quadro astratto.

Così, mentre da una parte la cultura ad alto livello si fa più raffinata e per pochi, questi “pochi” divengono, fittiziamente, tanti: diventano “massa”. E’ il trionfo del “digest” e del “rotocalco” e, soprattutto della televisione. Il mondo travisato da questi mezzi di diffusione, di cultura, di propaganda, si fa sempre più irreale: la produzione in serie, anche delle idee, lo rende mostruoso.
Il mondo del rotocalco, del lancio su base mondiale anche dei prodotti umani, è un mondo che uccide.[…]

Finché l’uomo sfrutterà l’uomo, finché l’umanità sarà divisa in padroni e in servi, non ci sarà né normalità né pace. La ragione di tutto il male del nostro tempo è qui.

E ancora oggi […] le cose non sono mutate: la situazione degli uomini e della loro società è la stessa che ha prodotto le grandi tragedie di ieri. Vedete questi? Uomini severi, in doppiopetto, eleganti, che salgono e scendono dagli aeroplani, che corrono in potenti automobili, che siedono a scrivanie grandissime come troni, che si riuniscono in emicicli solenni, in sedi splendide e severe: questi uomini dai volti di cani o di santi, di jene o di aquile, questi sono i padroni.

E vedete questi? Uomini umili, vestiti di stracci o di abiti fatti in serie, miseri, che vanno e vengono per strade rigurgitanti e squallide, che passano ore e ore a un lavoro senza speranza, che si riuniscono umilmente in stadi o in osterie, in casupole miserabili o in tragici grattacieli: questi uomini dai volti uguali a quelli dei morti, senza connotati e senza luce se non quella della vita, questi sono i servi. È da questa divisione che nasce la tragedia e la morte.”
Pier Paolo Pasolini, “La rabbia”, apparso sul n.38 del 20 settembre 1962 sulla rivista “Vie nuove”

 

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