Pubblicato il 30 Settembre 2015
Il 29 Settembre del 1977, una Mini Minor bianca passa per Piazza Igea e dal suo interno vengono fatti esplodere numerosi colpi d’arma da fuoco indirizzati verso un gruppo di ragazzi che stazionano nella piazza.

Piazza Igea (oggi Piazza Walter Rossi), nel quartiere Trionfale di Roma, costituiva un ritrovo per i militanti della sinistra di Roma nord grazie agli edifici occupati della “Casa Rossa”, ma allo stesso tempo crocevia tra le zone della Balduina, Monte Mario e Vigna Clara, quartieri feudo della Roma nord di estrema destra, con all’interno alcune delle sezioni del Movimento Sociale Italiano più attive della capitale, da dove partivano soventi raid contro i luoghi d’aggregazione della sinistra romana.
Di quei numerosi colpi, tre colpiscono Elena Pacinelli di 19 anni, che anni dopo morirà prematuramente per la sua condizione di salute precaria, aggravata dalle complicanze innescate dall’attentato.

Scossi dall’accaduto e dai ripetuti attacchi che si verificavano quotidianamente nella capitale in quei pesanti anni, il 30 Settembre (giorno seguente), con l’obiettivo di distribuire volantini e rendere noto l’attentato ai residenti del quartiere Balduina, viene organizzata una manifestazione con i ragazzi del “Pomponazzi”, palazzo popolare con all’interno un grande cortile, luogo di ritrovo per molti militanti e ragazzi di zona. Partendo proprio da Via Pietro Pomponazzi, risalendo Via delle Medaglie d’oro, all’altezza della sezione del MSI, alcuni militanti d’estrema destra, usciti proprio da quest’ultima, iniziano una sassaiola contro i manifestanti; sopraggiunto un blindato della polizia, i missini riparano dietro di loro, continuando il lancio di oggetti. Dal drappello difeso dalla polizia, partono dei colpi di pistola rivolti verso i manifestanti di sinistra: a sparare sono Cristiano Fioravanti e Alessandro Alibrandi.

Un proiettile ferisce un benzinaio, un altro colpisce alla testa Walter Rossi, ragazzo di 20 anni militante di Lotta Continua. Nei concitati minuti successivi, la polizia carica la manifestazione e le persone che si trovano vicino al corpo del ragazzo ferito, impedendo ai compagni di prestare soccorso e senza chiamare un’ambulanza. Caricato il corpo su un furgone che passava nelle vicinanze, Walter Rossi arrivò all’ospedale Santo Spirito già morto.
Nonostante la provenienza dei colpi sparati fosse evidente, nell’immediato nessun appartenente al gruppo di missini venne fermato dalle forze dell’ordine. Solo nelle ore successive vennero portati in questura per accertamenti diciassette militanti della sezione del MSI, fra questi anche Flavia Perina futura deputata per Alleanza Nazionale, che verranno tutti prosciolti.
L’omicidio avvenne sotto gli occhi di quindici poliziotti: dieci nell’autoblindo, tre in una volante vicina e due (o tre) in borghese (come dichiarato dall’allora vice questore Luigi Falvella che li dirigeva). Nonostante la parte attiva nella vicenda, per la protezione data al gruppo fascista, per la carica ai soccorritori e relativa inoperosità nei momenti immediatamente successivi all’assassinio, su nessun poliziotto venne preso un provvedimento.
Cristiano Fioravanti (fratello di Valerio, famoso per la strage alla stazione di Bologna) missino facente parte dell’organizzazione terroristica fascista dei “Nuclei Armati Rivoluzionari”, verrà arrestato nel 1981, dove ammetterà il suo coinvolgimento nell’omicidio ma attribuendo il colpo mortale all’amico Alessandro Alibrandi (che nel frattempo era morto in uno scontro a fuoco con la polizia) perché la sua pistola era “inceppata”.

Durante il processo del 1989 per la strage di Bologna, il fratello Valerio Fioravanti disse:
“ (..) la pistola era una e se la passavano l’un l’altro, ed è finita che Cristiano è riuscito ad attribuire il colpo mortale ad Alessandro. Alessandro è morto e il processo è finito lì (…) Mio fratello è stato inquisito, ma la questione è ricaduta su Alibrandi che non era più in grado di rispondere. Questo fu il primo morto attribuibile al nostro gruppo (i NAR, ndr), anche se arrivava dopo reiterati tentativi di farlo. Questo, detto un po’ cinicamente, è riuscito, ma era già stato tentato, c’erano stati diversi accoltellamenti».
Malgrado questa testimonianza, Cristiano Fioravanti venne condannato a nove mesi di carcere per reati concernenti la sola detenzione dell’arma da fuoco, uscito di carcere dopo nemmeno un anno; attualmente vive libero sotto il programma statale per la protezione dei pentiti.
Pochi giorni dopo l’assassinio di Walter Rossi, diversi militanti di sinistra vennero arrestati e lo stesso giudice che indagava al caso Rossi, condannò per “rissa aggravata” alcuni di loro a un anno e mezzo di carcere.

Nel 1997 venne fondata l’”Associazione Walter Rossi”, con la finalità di individuare i vari responsabili dell’omicidio. Così, nel 1998, il caso fu riaperto per essere chiuso definitivamente tre anni dopo, con l’incriminazione di tre compagni di Walter Rossi per “falsa testimonianza” e il definitivo “non luogo a procedere” per Cristiano Fioravanti.
Così, per l’omicidio di Walter Rossi, nonostante i molti attori e i diversi indagati, nessuno ha pagato; per il ferimento di Elena Pacinelli, nessuno fu nemmeno indagato.
In questo giorno, 30 Settembre, un ricordo a questi due ragazzi e a tutte le vittime di quegli anni di piombo, appesantiti in maniera ignominiosa e imbarazzante dai depistaggi, dai silenzi e dalle responsabilità dello Stato.
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Foto dalle commemorazioni che si svolgono ogni anno per
Walter Rossi ed Elena Pacinelli.








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