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Assalto alla CGIL: i neofascisti sono in piazza perché l’abbiamo lasciata vuota.

Due mesi fa, assistendo all’ennesima manifestazione no-vax / no-green pass, commentammo in questa maniera:
“Il Green Pass, è da sciocchi non ammetterlo, apre mille perplessità, sia sull’effettiva efficacia nonché sul buco normativo che si porta appresso (ne parlammo in un articolo). Accodarsi in maniera cieca ad una visione “scientifica ufficiale” che ha scaricato la responsabilità dei vertici sui singoli e scritta dagli stessi che critichiamo e condanniamo su ogni scelta politica, sociale ed economica, non è proprio da furbi…
Perché negli spazi critici in cui noi lasciamo un vuoto, la storia ci insegna che qualcun altro lo andrà ad occupare, ma in maniera criminale e fraudolenta. Ed è accaduto.

La manifestazione di Sabato 9 Ottobre a Roma, culminata con l’assalto della sede CGIL a Corso d’Italia, sta giustamente monopolizzando il dibattito, riuscendo a creare anche in questo caso più spaccatura che unione, nonostante la gravità del gesto e del carico simbolico e storico che trascina con se.
La chiave di lettura della giornata è complessa, per le dinamiche, per la composizione della piazza, per le azioni, l’inazione e, non ultimo, l’ostinazione nel voler interpretare un dato malcontento in maniera univoca, quando la realtà ci suggerisce una pluralità di realtà e adesione.

LA PIAZZA

Partendo dalla manifestazione principale a Piazza del Popolo, va immediatamente ribadito un punto importante e fisso: No-green pass, non è No-vax. In quella piazza piena, che i media hanno quantificato in maniera ridicola sulle 10.000 presenze, NON c’erano SOLO fascisti e ignoranti no-vax, ma anche (e molti più di quel che pensiamo) persone coscientemente e in maniera razionale contrarie ad una norma, quella del green pass, che è opinabile praticamente in ogni parte (uno spunto QUI). Persone che per i più svariati motivi sono, in un modo o nell’altro, rimasti incastrati nell’enorme buco normativo che il green pass ha creato, dato che la norma è stata pensata male e scritta ancor peggio, scaricando sul singolo colpe di gestione dei vertici; banalizzare il tutto sul semplice rifiuto vaccinale (in fondo, legittimo anche quello, data la confusione creata sul tema) è un approccio irrealistico.
(Non è questo il caso di tornare nel dettaglio sugli errori della campagna vaccinale occidentale, trovate decine di articoli nel blog).

Una grande fetta di quella piazza ha cercato per un anno e mezzo un’interpretazione critica adeguata al complesso quadro della pandemia e della sua tragica gestione da parte del sistema liberista in occidente. Anche quando la critica era semplice di fronte a insanabili contraddizioni, sanitarie e non, si è preferito mettersi da parte e abbracciare la versione “ufficiale“, molto più economico-politica che scientifica.
Un esempio recentissimo: di fronte ad un attacco ai diritti del lavoro come quello sostenuto dal DL Brunetta che prevede blocco dello stipendio, degli scatti di anzianità e dei contributi ai lavoratori senza green pass; come può una forza, anche minimamente di sinistra, non opporsi immediatamente e con forza ad un decreto legge del genere?
La decisione arbitraria e piena di falle fatta da un governo che non prende la responsabilità palese di un obbligo, viene imposta con il taglio dei diritti sociali più elementari. Non diritti generici, guarda caso sempre sociali e sempre dei lavoratori.
Un atto del genere, nel momento in cui viene fatto passare come “possibile“, diverrà facilmente applicabile ad altri contesti “necessari” per il governante di turno.
Sblocca un pericoloso ragionamento/accettazione, su governante e governato, che una volta assimilato diviene faticosamente reversibile.

La critica e opposizione richiede una posizione chiara, riconoscibile all’interno del dibattito e della piazza, che abbiamo lasciato VUOTA.
La Storia insegna che qualcuno lo spazio lo riempirà sempre, persone messe appositamente dalla stessa classe dominante, teoricamente quelle su cui la piazza era sorta contro.
Questo, attualmente, stiamo vivendo.
In fondo a Piazza del Popolo ad arringare la folla, fascista e non, c’erano Giuliano Castellino, Roberto Fiore e terroristi dei NAR.

L’ASSALTO ALLA CGIL

Dalla manifestazione principale di Piazza del Popolo, la componente capitanata dal duo Castellino-Fiore ha marciato indisturbata fino a Corso d’Italia, senza incontrare la benché minima resistenza da parte delle forze dell’ordine, ed ha assaltato e devastato la sede nazionale del più grande e storico sindacato italiano.
Le immagini dei video mostrano la facilità con cui l’atto eversivo è stato possibile da parte del gruppo fascista, rivelando un totale “lasciapassare” dei reparti mobili, sempre così solerti contro scioperanti, studenti e famiglie senza casa. Anche le immagini che arrivano dalla piazza e da vicino Montecitorio, mostrano violenze e provocazioni ampiamente tollerate.

Il gesto è di una gravità inaudita: storica, sociale, politica, d’immaginario collettivo.

Dal nostro articolo su Bruno Buozzi, martire sindacalista socialista:
Il fascismo si apre e si chiude con il sangue dei sindacalisti.
E non è un caso…
Tra i primi atti di delinquenza del fascismo ci fu l’uccisione di sindacalisti e l’assalto all’apparato sindacale, ancor prima del consolidamento del potere stesso. Con il Patto di Palazzo Vidoni del 2 Ottobre 1925, si riconoscono formalmente i soli sindacati fascisti. Questo, su espressa pressione della Confindustria, l’organizzazione delle imprese e delle industrie italiane che dopo aver largamente pagato il braccio fascista, aveva raggiunto il suo intento: non avere dinnanzi a se organizzazioni in difesa del lavoro salariato e dei lavoratori.

La memoria c’impone non solo di far riemergere tali ricordi storici, ma anche di utilizzarli a nostro favore per la comprensione dell’attuale. A quanto pare siamo riusciti a fallire anche in questo; non è stato raro leggere attacchi verbali e scritti alla sola CGIL, dimenticando totalmente che c’è stato un assalto fascista in collusione con le forze dell’ordine ad un sindacato. Con la memoria in tempi recenti, lo stesso atto è avvenuto nel 2014 in Ucraina, dove i fascisti hanno massacrato, stuprato e arso vivi 48 antifascisti nella Casa dei Sindacati di Odessa. Non c’è da prenderla tanto alla leggera.

Odessa, Casa dei Sindacati. 2014.

Non dobbiamo mischiare il carico simbolico dell’avvenimento e la procedura che l’ha resa possibile con la critica, sempre fissa e vigorosa, alle scelte (e non scelte) sindacali sbagliate della CGIL, attuate da quando non ha più l’appoggio di un partito di massa alle sue spalle (delegando l’azione sindacale di classe ai soli sindacati di base).
Critiche che nel singolo caso trovano una sua valenza, utilizzate con l’istinto manicheo delle posizione “dure e pure”, divengono cieche e pericolose se applicate in un momento grave di smarrimento come questo. Un comportamento di totale inadeguatezza e settarismo.

Dopo la visita di “solidarietà” alla sede CGIL, il Premier Mario Draghi ha parlato di una “stretta sulle manifestazioni“, guarda caso.
I fascisti svolgeranno sempre un ruolo subalterno e di supporto al capitale, sono stati creati per questo; al contrario non hanno ragion d’esistere. Per questo il fascismo permea ogni capillare della democrazia liberale e si presenta in mille modi, mille facce, mille “micro-fascismi”, come li chiamavano Deleuze e Guattari; ecco, questo è il nostro ruolo, smascherare e prendere posizione netta e distinguibile nei suoi confronti, dando un’interpretazione della realtà coerente e plausibile a chi è smarrito e senza strumenti di comprensione.

Qualcuno ci ha insegnato che la storia si ripete due volte, la prima come tragedia e la seconda come farsa: stiamo applicando tutto l’impegno per far sì che il primo paradigma vinca sul secondo, tenendo per noi e le nostre divisioni tutto il farsesco.

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Dato che per andare avanti, spesso è necessario tornare sui propri passi, aggiungiamo un testo storico tratto dal libro “Di Vittorio – Il Volto umano di un rivoluzionario“.

“Intanto nel paese l’indignazione cresceva.
L’inflazione galoppava e colpiva come sempre i ceti più poveri.
Il padronato sia industriale, sia agrario non voleva mollare, anzi passava alle serrate, alle provocazioni. Non ancora soddisfatto né abbastanza sicuro della protezione che pure aveva dalle forze dell’ordine, del sostegno del governo, dei prefetti, della magistratura, si creava veri e propri reparti armati. I mazzieri isolati non bastavano più. Occorrevano vere e proprie squadracce sempre pronte. Era già il fenomeno fascista che metteva le sue radici. La borghesia voleva conservare i suoi privilegi e le ricchezze che la guerra gli aveva procurato e continuare a tenere sottomessa la forza-lavoro. Per farlo doveva passare alla maniera forte. C’erano troppe bandiere rosse in giro, troppo socialismo. La rivoluzione in Russia, anche se lontana, era un campanello d’allarme. C’erano state condizioni di pace, imposte dagli alleati, in cui L’Italia era stata trattata con sufficienza. Ci fu chi inventò la “vittoria mutilata“. L’ondata di retorica, sulla quale soffiò Gabriele D’Annunzio, fu sfruttata dalla borghesia per porre i combattenti contro i socialisti. Operai e contadini che si battevano per vivere più dignitosamente erano gli stessi che erano stati in trincea, ma si riuscì ugualmente a scavare il solco. La bandiera tricolore fu opposta alla bandiera rossa. Il rosso era russo, comunismo, nemico. Si sfoderarono le parole d’ordine ingannatrici di sempre: ordine, famiglia, disciplina, salvezza della lira. Tutti i torti stavano dalla parte dei lavoratori, i sindacalisti diventarono sobillatori senza Patria, le Camere del lavoro centrali di perversione e di disordine. Si trovarono subito ufficiali pronti a mostrare le loro medaglie, molte delle quali guadagnate nelle retrovie, e a incitare all’odio e alla violenza con una passione che non avevano certo dimostrato in guerra. Gli scopi erano chiari; fare abbassare la testa ai lavoratori, chiudere le Camere del lavoro, abolire la libertà di stampa e soprattutto soffocare quella dei lavoratori. Era necessario un movimento che ingannasse il popolo, servisse il padronato e un capo. Non era difficile organizzare l’uno e fare l’altro. Fu il fascismo, e Mussolini, che proveniva dalle file socialiste, era l’uomo che poteva servire allo scopo. Eppure le elezioni del 1920 avevano ancora portato ben 156 deputati socialisti in Parlamento con circa due milioni di voti e nelle amministrative che si svolsero poco dopo duemila comuni erano passati nelle mani del popolo. Ma, come sempre quando si vede battuta, la classe dominante ricorse da una parte alla violenza che le autorità dello stato continuavano a legalizzare e dall’altra operò in modo da rinfocolare dissidi e divisioni tra le organizzazioni sindacali e nel seno del Partito socialista. Cominciarono le incertezze nelle direttive e il nervosismo nelle file dei lavoratori. Un dirigente socialista parlava in un senso, un altro sosteneva le tesi opposte. Tra il vertice del partito e la base vi fu un distacco che nessuno si preoccupava di colmare. Non era perciò questione di libero dibattito interno o necessità delle correnti o delle frazioni, ma zizzania che seminavano i nemici del socialismo e dei lavoratori. Era soprattutto quanto serviva alla borghesia per allevare il fascismo e farlo più forte, prima nelle campagne poi nelle città. In Puglia, dove pure gli agrari avevano più sete di vendetta che altrove per le sconfitte patite, il fascismo riuscì a organizzarsi molto più lentamente e difficilmente che in altre parti della penisola. La politica unitaria che Di Vittorio era riuscito a inculcare e a difendere aveva dato all’organizzazione una forza diversa e creato nei lavoratori una grande fiducia che neppure in quegli anni era venuta meno. Anzi le loro battaglie continuavano e le loro iniziative politiche avevano successo. Il fascismo non passò né nel 1919 né per buona parte del 1920 nonostante che gli agrari si fossero trasformati quasi tutti in organizzatori di squadre fasciste, primo fra tutti il Caradonna di Cerignola. Soltanto nel 1921 il fascismo creò le sue sedi in Puglia. A Cerignola la prima fu quella stessa dove si riunivano gli agrari, e il capo fu Caradonna. Il primo fatto di sangue i fascisti lo compirono il 19 febbraio del 1921 a Bari. Mentre sfilava per le strade della città un corteo di disoccupati, alcuni gruppi di fascisti, comparsi improvvisamente, aggredirono il corteo e ammazzarono un disoccupato. Di Vittorio, segretario della Camera del lavoro, convocò subito una riunione regionale nella quale fu deciso per il 21 febbraio uno sciopero generale in tutta la Puglia. Lo sciopero riuscì compatto e la manifestazione antifascista fu impressionante. Ma i fascisti, con le spalle protette dalla polizia, continuarono i loro assalti cercando di dimostrare che i lavoratori si rivoltavano e attaccavano le forze dell’ordine. (…) Oltre alle loro squadre armate, anche la polizia dava la caccia agli antifascisti. Un fascista che commetteva un delitto non era arrestato ma appena i fascisti diffondevano un sospetto su un lavoratore, questi finiva subito in carcere.”

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