Pubblicato il 26 Giugno 2015
Non tutti possono comprendere l’emozione, che spesso crea negli altri stupiti sorrisetti beffardi.
Tralasciando i discorsi lunghi e seriosi sull’importanza di Jurassic Park all’interno della storia del cinema per la sua spettacolarità, unica e senza precedenti, dovuta all’utilizzo massiccio della computer grafica (CGI) che apriva possibilità praticamente infinite, fino ad allora relegata a piccoli dettagli (comunque, citiamo anche Terminator 2), proponendo al pubblico un qualcosa di mai visto; fino a cinque anni prima, un film del genere sarebbe stato vincolato all’utilizzo di soli robot (e solo questi prevedeva il progetto iniziale di Steven Spielberg, modificato in corso d’opera una volta visti gli effetti della computer grafica).
Ma qui troviamo un film che dopo ben 22 anni, ancora oggi, non sfigura agli occhi contemporanei, arrivando addirittura al punto di risultare migliore di molte produzioni moderne e costose sul campo della realizzazione tecnica e della CGI.
Oltre a questo, quello che Jurassic Park rappresenta, è uno degli eventi mediatici più grandi e potenti della storia del cinema, probabilmente il maggiore degli anni ’90, calcolando l’ampio target di età che riuscì ad abbracciare, innescando una “dino-mania” che portò alla grande massa non solo la passione per gli animali preistorici, ma anche l’interesse per la paleontologia (per molti parola sconosciuta fino al 1993) e per i fossili, con mostre in tutto il mondo sempre gremite di milioni di persone che contribuirono a finanziare ricerca, scavi e spedizioni; le scoperte in questo settore sono maggiori negli ultimi 20 anni che in tutta la storia della paleontologia, iniziata nel XVIII secolo.
Questi passi avanti scientifici, senza Jurassic Park (azzardiamo a dirlo), sarebbero stati impossibili.
La “dino-mania” contagiò un po’ tutti senza barriera generazionale, ma i più colpiti furono i bambini.
Quei bambini nati a metà anni ’80, quella generazione che cominciava “ad essere abituata un po’ a tutto” a livello visivo, sperimentò nel periodo di maggior impatto emotivo e mnemonico quell’evento, che oggi può essere compreso ma non del tutto; andava vissuto.
Il vedere per la prima volta qualcosa che “non è vero, ma spaventosamente lo sembra davvero…”, associato non a degli animali qualsiasi, ma preistorici, dalla potenza carismatica infinita.
Per quei bambini, un passo pesante, lontano e vibrante, era “del T-rex”;
correndo veloce, non potevano fare a meno di “ritrarre” le mani vicino al busto, come un Velociraptor;
un bicchiere su un tavolo, era inevitabile, un “pugno” sul tavolo per creare le onde d’urto nell’acqua, lo dovevano fare;
in un acquazzone estivo, di notte, non erano in una macchina, ma in una Jeep verde e gialla;
nel buio, con le mani facevano il “ziiiiiiii” di un visore notturno.
Quest’ultimo Jurassic World è senza dubbio un degno capitolo della serie Jurassic Park per la sceneggiatura, ma soprattutto per le intelligenti citazioni, anche nascoste, al primo capitolo, quel protagonista della dino-mania fissata in maniera indelebile nelle menti di quei bambini, oggi trentenni.
Perciò, chi non l’ha vissuto, chi non era presente, faccia passare l’emozione di questi “bambini” che non smetteranno di emozionarsi all’ascolto di quelle tre note iniziali di John Williams, oppure, oggi, a quella spettacolare ed entusiasmante scena finale che ci regala questo quarto capitolo.
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