Per la gran parte della popolazione, sia maschile che femminile, l’8 Marzo rappresenta, come qualsiasi festività o ricorrenza, un involucro vuoto senza memoria storica e significato, che si risolve in gesti “dovuti” (come regalare una mimosa) o in comportamenti totalmente estranei al significato della giornata (come una festa in un night club).
La Giornata internazionale della Donna (non festa), è densa di significato, storia, lotte e sofferenze che si basano su concetti e ideologie che vale la pena riscoprire e conoscere.
LA CONDIZIONE DELLA DONNA NEL XIX SECOLO
Per comprende appieno l’importanza delle battaglie compiute, è necessario conoscere il contesto sociale in cui determinate donne decisero di opporsi e alcune ideologie sostenere concetti di emancipazione.
A parte rari e isolati casi, storicamente la donna ha vissuto in stato di subordinazione e sudditanza rispetto all’uomo, ma l’emblema del divario tra la vita di un uomo e quello di una donna, è spesso simboleggiato dal periodo Vittoriano.

Coincidente con la reggenza della Regina Vittoria, dal 1837 al 1901, in questo periodo la donna, in quanto tale, aveva pochissimi diritti riconosciuti, che addirittura ne sminuivano la persona stessa. I diritti legali erano appannaggio esclusivo degli uomini, mentre la donna era legalmente ritenuta una “proprietà” del marito, su cui ne esercitava la potestà, similmente al rapporto legale che si ha con un figlio (anche su questi, potestà esclusiva del padre, la madre non aveva nessun diritto sui propri figli; il marito poteva limitare a sua discrezione ogni contatto tra madre e figli).
Esclusa come individuo da qualsiasi attività della società:
non poteva esercitare nessuna professione (eccezion fatta per l’insegnamento e l’attività di domestica), non poteva stipulare un contratto, non poteva possedere un conto corrente o un libretto di risparmio, dato che, essendo sotto la potestà del marito, tutti i suoi averi erano in automatico di proprietà di quest’ultimo; se ne aveva prima del matrimonio, dopo il vincolo coniugale, divenivano “per dote” di proprietà del marito, che non recuperava in caso di annullamento del matrimonio.
Sul piano politico, la donna non deteneva nessun diritto.
Queste limitazioni legislative derivavano da un problema di “visione” e considerazione della donna, non come persona, ma come “essere differente”.
Per comprendere questo, è emblematica la visione sessuale che si attribuiva alla donna; legato molto alla religiosità, il corpo della donna veniva visto come uno “strumento puro per la procreazione”, ma in maniera a dir poco ipocrita, era ampiamente tollerata la prostituzione, religiosamente giustificata come punizione per le donne “impure”. Per un uomo, l’adulterio e la frequentazione di prostitute era accettato, ma per una donna, in quanto strumento di procreazione e non bisognosa di soddisfazione sessuale, un simile atto l’avrebbe resa “sporca”, “impura”, “scostumata”, con conseguente allontanamento dalla società (questo tipo di pensiero, soprattutto in alcune ideologie, perdurerà per tutto il XX secolo e tristemente, in alcuni ambienti, perdura anche oggi…); in questo caso, si apriva la strada dell’unico lavoro e fonte di sostentamento per una donna socialmente inaccettabile, la prostituzione.
In quanto “essere diverso”, anche l’istruzione non poteva essere uguale a un uomo, anzi, era la donna stessa che, in quanto madre e faccendiera di casa, non necessitava di un’istruzione al pari di uomo e, conseguentemente, l’iscrizione all’Università.
Era opinione comune il pensare che lo studio stesso fosse contro la loro natura.
Da questo quadro, si comprende come alla donna non rimanesse nulla, se non l’obbedienza.
IDEE DI EMANCIPAZIONE
Già nel XVIII secolo (anche prima, contando gli isolati casi che costituiscono eccezione), la condizione della donna, in quanto subordinata, desta discussione e protesta attiva.

Sul piano ideologico, importanti gli scritti della filosofa inglese Mary Wollstonecraft, che nel suo “A Vindication of the Rights of Woman”, sostiene che la donna a livello naturale non è inferiore all’uomo, a differenza dell’opinione comune dell’epoca, ma che la diversa educazione che viene impartita loro con il conseguente posto assegnato nella società, le renda inferiori e subordinate.
Idee che devono molto alle vicende della Rivoluzione francese del 1789, in cui il ruolo delle donne fu di primaria importanza nella rivoluzione stessa, ma che nella storia del femminismo, ne fu praticamente la base; la rivoluzionaria girondina Olympe de Gouges, in risposta alla “Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino”, scrive la “Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina” in cui si legge:
“la Donna nasce libera e rimane uguale all’uomo nei diritti”.

Nonostante questo, a rivoluzione ultimata, le speranze di un riconoscimento di parità svaniranno, data l’esclusione delle donne dal godimento dei diritti politici. Quindi attivismo e idee a favore della donna, ma solo dalle donne stesse…
IL SOCIALISMO UTOPISTICO

Ma è nel 1800 che si vanno espandendo e delineando le dottrine che abbracceranno maggiormente e sinceramente la causa dell’emancipazione della donna, cioè il socialismo e successivamente il comunismo.
Fin dal socialismo utopistico (sviluppatosi tra il XVIII e XIX), che getta le basi ideologiche della riforma politica e sociale che caratterizzeranno il pensiero socialista, è centrale l’emancipazione della donna.
Ispirati dalle precedenti idee illuministe e negli scritti sociali e pedagogici di Jean Jacques Rousseau, i maggiori esponenti di questa corrente saranno i francesi Henri de Saint-Simon e Charles Fourier, insieme al gallese Robert Owen.

Nel pensiero Sansimonista, il ruolo fino ad allora assegnato alla “sposa” doveva mutare in una parità di diritti con l’uomo, fino a teorizzare, come nel sansimonista Barthélemy Prosper Enfantin, la rottura delle catene imposte dal matrimonio.
Charles Fourier parla, in maniera assai più diretta, della necessità da parte della donna di avere una propria sessualità (concetto sconvolgente per l’epoca), e se l’uomo può avere (e secondo il suo punto di vista, deve) avere più partner, la stessa cosa deve valere per una donna. In un suo passo:
«L’adulterio, la seduzione, fanno onore ai seduttori, sono eleganti… Ma, povera ragazza! L’infanticidio, che delitto! Se essa tiene all’onore è necessario che cancelli le tracce del disonore, e se sacrifica il suo bambino ai pregiudizi del mondo, essa è ancora più disonorata ed incorre nei pregiudizi della legge… Questo è il circolo vizioso che ogni meccanismo civile percorre».
Non solo, nell’esaminare il grado di civiltà di una società, utilizza la donna come esempio:
«Il cambiamento di un’epoca storica si può sempre determinare dal progresso del rapporto delle donne con la libertà, perché, qui, nel rapporto della donna con l’uomo, del debole con il forte, appare nel modo più evidente la vittoria della natura umana sulla brutalità. Il grado dell’emancipazione femminile è la misura naturale della emancipazione generale».
IL SOCIALISMO SCIENTIFICO
Karl Marx e Friedrich Engels con i loro studi e scritti di natura sociologica ed economica, contrapporranno al primo socialismo utopistico (termine ideato dallo stesso Marx), quello di natura “scientifica”, accusando il primo di eccessiva “idealità” e di parziale critica della società capitalista, contrapponendo una teoria esatta sotto l’aspetto economico, date le conoscenze economiche di Karl Marx, e mettendo in risalto la contrapposizione tra classe dominante e subalterna.
Ma nonostante la critica ideologica (che comprenderà anche la visione dei rapporti uomo-donna nel socialismo utopistico), Marx ed Engels riconosceranno l’influenza e l’importanza storica di questa prima corrente di pensiero verso una società di tipo socialista. Il pensiero di critica della società di Charles Fourier, seppur evoluto, lo ritroviamo in Marx:

“Nel rapporto verso la donna, preda sottomessa alla libidine della comunità, è espressa la smisurata degradazione in cui l’uomo si trova ad esistere di fronte a se stesso; ché il segreto di tale rapporto si esprime non ambiguamente, ma risolutamente, manifestamente, scopertamente, nel rapporto dell’uomo [singolo] alla donna [singola] e nel modo in cui viene compreso l’ immediato, naturale, rapporto pertinente il genere umano.(…) Da questo rapporto si può, dunque, giudicare l’intero grado di civiltà dell’uomo.”
La donna viene considerata come “persona” facente parte della società e, in quanto tale, anch’essa sorella sfruttata.
Si rompe la divisione duale e ruolistica della “donna” e “dell’uomo”.
La posizione che spetta alla donna è pari a quella dell’uomo, in quanto individuo e essere integrante e partecipativo della società.
“Il rapporto dell’uomo alla donna è il più naturale rapporto dell’uomo all’uomo. In esso si mostra, dunque, fino a che punto il comportamento naturale dell’uomo è divenuto umano, ossia fino a che punto la sua umana essenza gli è diventata essenza naturale, fino a che punto la sua umana natura gli è diventata naturale.” (tratti da Manoscritti economico-filosofici del 1844)
Sulla questione della visione da parte della società borghese della donna e moglie, come vera e propria “proprietà”, troviamo risposta proprio nel famoso “Manifesto”:
“Il borghese vede nella moglie un semplice strumento di produzione. Sente dire che gli strumenti di produzione debbono essere sfruttati in comune e non può naturalmente farsi venire in mente se non che la sorte della comunanza colpirà anche le donne. Non sospetta neppure che si tratta proprio di abolire la posizione delle donne come semplici strumenti di produzione.”

Friedrich Engels tratterà in maniera accurata lo sfruttamento della donna nel mondo borghese e capitalista dell’800, partendo dallo studio storico del rapporto matrimoniale nell’opera “L’origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato”, rappresentando un dualismo donna- uomo con il proletariato-borghesia:
“La moderna famiglia singola è fondata sulla schiavitú domestica della donna, aperta o mascherata, e la società moderna è una massa composta nella sua struttura molecolare da un complesso di famiglie singole. Al giorno d’oggi l’uomo, nella grande maggioranza dei casi, deve essere colui che guadagna, che alimenta la famiglia, per lo meno nelle classi abbienti; il che gli dà una posizione di comando che non ha bisogno di alcun privilegio giuridico straordinario. Nel mondo dell’industria lo specifico carattere dell’oppressione economica gravante sul proletariato, spicca in tutta la sua acutezza soltanto dopo che tutti i privilegi legali particolari della classe capitalistica sono stati eliminati, e dopo che la piena eguaglianza di diritti delle due classi è stata stabilita in sede giuridica. La repubblica democratica non elimina l’antagonismo tra le due classi: offre al contrario per prima il suo terreno di lotta. E cosí anche il carattere peculiare del dominio dell’uomo sulla donna nella famiglia moderna, e la necessità, nonché la maniera, di instaurare un’effettiva eguaglianza sociale dei due sessi, appariranno nella luce piú cruda solo allorché entrambi saranno provvisti di diritti perfettamente eguali in sede giuridica. Apparirà allora che l’emancipazione della donna ha come prima condizione preliminare la reintroduzione dell’intero sesso femminile nella pubblica industria, e che ciò richiede a sua volta l’eliminazione della famiglia monogamica in quanto unità economica della società.“
Aspirando, riguardo ai rapporti tra uomo e donna, che divengano slegati da qualsiasi vincolo strutturale, sociale ed economico, relazioni mosse solo ed esclusivamente dalla propria volontà e amore:
“Questo si deciderà quando una nuova generazione sarà maturata. Una generazione di uomini i quali, durante la loro vita, non si saranno mai trovati nella circostanza di comperarsi la concessione di una donna col danaro o mediante altra forza sociale; e una generazione di donne che non si saranno mai trovate nella circostanza né di concedersi a un uomo per qualsiasi motivo che non sia vero amore, né di rifiutare di concedersi all’uomo che amano per timore delle conseguenze economiche .”

Non stupisce che, con alla base l’idea di “totale parità” tra i soggetti costitutivi della
società, i maggiori movimenti a difesa della donna siano stati principalmente di matrice socialista, comunista e di sinistra; lotta che, come dirà il socialista August Bebel, fondatore del Partito Socialdemocratico di Germania, è “intimamente connessa con quella che si combatte dai proletari.”
Così, in tutte le lotte sindacali, progressiste, riformiste, e rivoluzionarie del XIX secolo e primi decenni del XX (esempio la “Comune di Parigi” e la “Rivoluzione Russa”) fu importante e decisiva la componente femminile, giustificata nelle parole di uno dei padri della Rivoluzione Russa, Vladimir Lenin:

“Finché le donne non saranno chiamate, non soltanto alla libera partecipazione alla vita politica generale, ma anche al servizio civico permanente o generale, non si potrà parlare non solo di socialismo, ma neanche di democrazia integrale e duratura.” (da I compiti del proletariato nella rivoluzione attuale).
NON SOLO SOCIALISMO
Importante citare anche chi, al di fuori dell’ideale socialista, contribuì alla causa d’emancipazione della donna.

Tra i più importanti, il filosofo liberale John Stuart Mill, che, influenzato dalla moglie Harriet Taylor, promosse anche lui nel suo “The Subjection of Women”, il suffragio universale sul piano politico e una parità nel diritto di famiglia. La sua figliastra, Helen Taylor, dedicherà tutta la sua vita alla causa femminista, entrando a far parte della “Federazione socialdemocratica”, partito britannico di ispirazione socialista.
Sempre in Inghilterra, impossibile non citare il movimento delle Suffragette.
Nate alla fine degli anni sessanta dell’800, si costituirono in società solo nel 1897, nella “National Union of Women’s Suffrage”, fondata da Millicent Fawcett. Di estrazione principalmente borghese e alto-borghese, lottarono attivamente con atti di manifestazione estremi, subendo una forte repressione e violenze durante le pene detentive, da citare Emmeline Punkhurst e le sue tre figlie Christabel, Sylvia (entrata poi nel movimento comunista) e Adela, che fondarono insieme il “Women’s Social and Political Union” e poi il partito “Women’s Party”.

Ma la loro protesta verteva principalmente sull’aspetto della “rappresentanza politica”, essenzialmente sul voto. Pensatori socialisti e comunisti ne elogiarono la lotta, ma la protesta, così condotta, non “rompeva” il rapporto di subordinazione sociale uomo-donna. Dopo le sofferenze e gli anni di lotta, raggiunsero nel 1919 un diritto al voto solo per le mogli dei capifamiglia sopra i trent’anni; un voto e “diritto”, sempre subordinato alla figura maschile.
LE PRIME “WOMAN’S DAY”
In questo fermento sociale, cominciarono a essere celebrate delle prime “giornate della donna”, non ufficiali e scollegate una dall’altra.
Il 3 maggio 1908, la socialista Corinne Brown presiede l’incontro domenicale del Partito Socialista di Chicago, che trattando la tematica dello sfruttamento dell’operaia, viene definito “Women’s Day”.
Da questa prima iniziativa, il Partito Socialista Americano dedicherà l’ultima domenica del
mese di Febbraio come “Giornata della donna”; su questa base, la ritroviamo il 23 Febbraio del 1909 e il 27 Febbraio del 1910.
Sempre nel 1910, le socialiste americane delegate alla “Conferenza internazionale delle donne socialiste” che si svolgeva a Copenaghen e coincidente con “l’VIII Congresso dell’Internazionale socialista”, proposero di istituire la celebrazione di questa giornata anche in Europa.
Accettata la proposta, fin dal 1911 le giornate istituite nei diversi paesi non erano coincidenti; in maniera variabile, veniva celebrata nei mesi di Febbraio o Marzo.
8 MARZO 1917
Nel 1917 la Russia e lo zarismo erano ormai collassati.
Una macchina statale antiquata, disuguaglianze sociali spaventose e una guerra, quella mondiale, in cui la Russia si presentò impreparata e inadeguata, posero le basi per l’imminente rivoluzione, dopo una prima mancata, ma significativa, nel 1905.
Emblema della situazione è un dato all’apparenza irrilevante; in Russia, lo stipendio medio era di 30 rubli al mese, un paio di scarpe ne costava 100.
A paragone, come se oggi un paio di scarpe costasse 3.300 euro…
C’erano magazzini carichi di scarpe, e milioni di persone che camminavano scalze nel fango…
Proprio contro la situazione disperata che la Russia stava vivendo, la guerra, l’autocrazia, il carovita, una monarchia ormai cieca e sorda; i comitati bolscevichi invitarono allo sciopero e alla manifestazione.

Con 17 milioni di uomini impegnati al fronte, l’importanza del lavoro femminile divenne primario e, conseguentemente, la presenza di donne operaie; così, l’8 Marzo del 1917 (23 Febbraio nel calendario giuliano), le donne guidarono una manifestazione imponente a Pietrogrado, con una partecipazione allo sciopero che, nei giorni successivi, arrivò a toccare quasi 250.000 persone.
Da questa data iniziò la Rivoluzione di Febbraio in cui il potere zarista, ormai screditato, cadde.
Nel 1921, alla “Seconda conferenza internazionale delle donne comuniste” di Mosca, coincidente con il “III congresso dell’Internazionale comunista”,
si fissò all’8 Marzo la «Giornata internazionale dell’operaia».
In un articolo sul quotidiano “Pravda” dell’8 Marzo 1921, così Vladimir Lenin salutava la Giornata internazionale dell’operaia:
“Non è possibile però far partecipare le masse alla politica se non vi si attirano le donne. In regime capitalistico, infatti, la metà del genere umano, formata dalle donne, subisce una duplice oppressione. L’operaia e la contadina sono oppresse dal capitale e, per di più, – persino nelle repubbliche borghesi più democratiche, permane, in primo luogo, l’ineguaglianza giuridica, cioè la legge non concede alle donne l’eguaglianza con gli uomini; in secondo luogo, – e questa è la questione capitale, – esse subiscono la «schiavitù domestica», sono «schiave della casa», soffocate dal lavoro più meschino, più umiliante, più duro, più degradante, il lavoro della cucina e della casa che le relega nell’ambito ristretto della casa e della famiglia.
La rivoluzione bolscevica, sovietica distrugge le radici dell’oppressione e dell’ineguaglianza delle donne assai più profondamente di quanto, fino ad oggi, abbiano osato nessun partito e nessuna rivoluzione. Da noi, nella Russia sovietica, non è rimasta nessuna traccia dell’ineguaglianza giuridica tra uomini e donne. Il potere sovietico ha abolito del tutto l’ineguaglianza particolarmente ignobile, abietta e ipocrita che improntava il diritto matrimoniale e familiare, la ineguaglianza nei riguardi dei figli.
Tutto ciò è appena il primo passo verso l’emancipazione della donna. Eppure questo primo passo non ha osato farlo nessuna delle repubbliche borghesi, sia pure la più democratica. Non ha osato, arrestandosi pavida di fronte alla «sacra proprietà privata».”
LA PERDITA DELLA MEMORIA STORICA
La motivazione che si trova dietro la scelta di tale data è marcatamente politica, così, dopo la seconda guerra mondiale e la polarizzazione del mondo in due blocchi, nei paesi
occidentali a dominazione americana si attuò una propaganda anticomunista, in special modo nel periodo maccartista anni ’50, incentrata sulla demonizzazione delle idee socialiste e comuniste, con il discredito o la disinformazione su tutto ciò che potesse metterle in buona luce.
Così venne messa in circolo la storia dell’incendio dell’8 Marzo 1908 nella fabbrica Cotton di New York, in cui sarebbero morte centinaia di operaie.
La storia, è totalmente inventata, nemmeno la fabbrica è mai esistita. La vicenda è stata creata ispirandosi a un’altra tragedia, quella della fabbrica Triangle dove morirono 146 operai, sia donne che uomini, ma il 25 Marzo del 1911. Il falso storico, fatto girare prima in ambienti reazionari e religiosi, ebbe così tanto risalto e successo che fece breccia nei sindacati e in ambienti di sinistra.
Segue la stessa linea lo svuotare d’importanza concettuale questa Giornata della Donna, con la mercificazione consumistica che se ne creò successivamente; più che un ricordo di diritti acquisiti, pian piano, le stesse donne hanno cominciato a sovrapporre questa giornata a semplice occasione per regali, cene, o peggio ancora, feste in club privati.
IN ITALIA
La prima celebrazione in Italia fu nel 1922 su iniziativa del Partito Comunista d’Italia, istituendola la domenica successiva all’8 Marzo, per poi essere soppressa con l’avvento del fascismo.

L’Unione Donne in Italia, creata riunendo i gruppi femminili che lottarono nella guerra di Liberazione, riprese le celebrazioni dal 1945 e tre parlamentari del Partito Comunista Italiano, Teresa Noce, Rita Montagnana e Teresa Mattei, scelsero il simbolo di questa giornata, la mimosa, fiore di stagione e facilmente reperibile. Nei ricordi di Teresa Mattei: “La mimosa era il fiore che i partigiani regalavano alle staffette. Mi ricordava la lotta sulle montagne e poteva essere raccolto a mazzi e gratuitamente”. In questi primi anni, sempre in chiave repressiva, il distribuire o l’indossare la mimosa era considerato dalle autorità un atto volto a turbare l’ordine pubblico.
Come visto, questa “Giornata internazionale della donna” viene da molto lontano, come le idee e le teorie che l’hanno resa possibile.
Ma parafrasando di nuovo Engels: “Un’oncia di azione vale quanto una tonnellata di teoria”. E come mostrato, di azione ce n’è stata molta.
Azione che in molti casi si è tramutata in reclusioni, in percosse, in scherno e in tutte quelle difficoltà che s’incorrono quando si è dalla parte “giusta”, ma purtroppo “l’erroneo” costituisce il pensiero dominante.
Tante di quelle conquiste fatte con sofferenza e sacrificio, soprattutto di carattere ideologico, sono andate perdute: l’appello a tutte le persone è di ripartire da dove siamo (o sarebbe meglio, da dove ci hanno fatto rimanere), ricostruire con l’ausilio dei valori e delle ideologie che hanno supportato sinceramente la causa femminista, tassello fondamentale e primario di un mosaico di lotta più grande, per onorare quelle donne che hanno lottato contro un mondo potente, ma non quanto il loro spirito e le loro idee.
Marcello Colasanti
ARTICOLO SCRITTO PER “IL GIORNALE DEL RICCIO”,
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Una nota alla condivisione su Facebook dell’8 Marzo 2021
L’articolo che anche oggi ho condiviso sulla storia e significato dell’8 Marzo (e che continuerò a condividere ogni anno), fu scritto nel 2016 per sopperire ad una mancanza: in nessun articolo di qualsiasi testata giornalistica si ripercorreva in maniera esatta e didascalica la storia, le radici e le attrici/attori principali che diedero vita alla Giornata Internazionale della Donna. Ogni anno era un continuo susseguirsi di “Festa della Donna“, o peggio ancora, “operaie morte nell’incendio” (anche su pagine di sedicente sinistra). Nel mio piccolissimo, volevo dare un contributo il più corretto possibile su una questione che ho sempre sentito importante e necessaria, soprattutto in questo periodo di confusione ideologica, rimanendo nella dimensione articolistica.
Gli articoli vengono scritti con un fine divulgativo, perciò non c’è maggior soddisfazione nel constatare che il proprio lavoro venga letto, ancor di più se fonte d’ispirazione e utilizzato come contributo per nuovo materiale. Ma l’ispirazione, come buona norma richiede, va necessariamente citata, cosa che non è mai accaduta.
L’articolo è stato continuamente cannibalizzato con un copia e incolla selvaggio, non da parte di sconosciuti su irrilevanti pagine Facebook, ma su testate giornalistiche professionali.
Un esempio su cui posso sbilanciarmi e fare nomi, tanto (per fortuna) non esiste più, è quello sull’ormai soppresso quotidiano L’Unità (non quello di Gramsci, ma quello finto di qualche anno fa).
Il loro articolo sulla Giornata della Donna dell’8 Marzo 2017 oltre ad avere la stessa identica impostazione, aveva INTERI blocchi di copia incolla, senza nemmeno la decenza di modificare, qua e là, qualche parolina.
Scrissi, ironicamente, sulla pagina de L’Unità (in foto) “trovo una strana assonanza con questo articolo… anche nei termini e nelle frasi…”. Ovviamente, non ricevendo risposta.
I casi simili, sicuramente meno spudorati, a decine.
Scrivo queste poche righe perché oggi, di nuovo, leggendo articoli su questa giornata, almeno un paio di testate (di chiara fama) ci sono ricadute, addirittura senza modificare nemmeno i titoli secondari che dividono l’articolo.
Evito nomi, accontentiamoci dell’anonimato per non creare nessun siparietto.
Tutto questo per autocelebrazione? Assolutamente no… copiate e condividetene tutti, ma il preparare articoli del genere richiede tempo, impegno, studio e denaro (tutte le citazioni e riferimenti nell’articolo, derivano da libri fisici in mio possesso).
Perciò, a prescindere dalla deontologia, la citazione e uno striminzito link a fondo pagina, è D’OBBLIGO.
Nella certezza che leggerete, un cordiale copia e incolla.
PS: Scusate la prima persona singolare, per una volta ho abbandonato il plurale maiestatis.


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Un pensiero riguardo “Perché proprio l’8 Marzo? Motivazioni, idee e lotte dietro questa data”