Aprendo i social in questi giorni, la giornalista Giovanna Botteri è riuscita a scalzare, almeno per poco, Bill Gates e le teorie del complotto a lui annesse e i quattro becchini africani del famoso meme.
Il punto centrale di tale notorietà è legata alla questione del così detto “body shaming”, commenti denigratori rivolti all’aspetto fisico e al modo di vestire, mettendo su un piano irrilevante la professionalità e personalità.
Il caso è esploso dopo un servizio di Striscia la Notizia, che evidenzia l’aspetto dimesso e i vestiti sempre uguali, seguito da commenti sui social non proprio lusinghieri.
La reazione è stata di sdegno abbastanza unanime nel mondo del giornalismo (ci mancherebbe altro) e non solo.
In fondo, il “servizio” arriva da Striscia la Notizia, programma Mediaset, a cui il solo accostare la parola giornalismo si produce un ossimoro… quindi, il tutto va valutato in questi contesti (di Medaset, ne parliamo qui).
Proprio per questo non avremmo dedicato attenzione alla vicenda, se non fosse per le reazioni corali che leggiamo sui social, che in base alla marea del momento, si riempie di hater oppure di politicamente corretti. E capire chi sia peggio dei due, a volte non è semplicissimo.
Ora, tutte le critiche sull’operato della giornalista Botteri, che non erano di certo poche, vengono immediatamente etichettate come “vergognoso body shaming” mettendo tutto nel mucchio; leggiamo migliaia di sostenitori (formatisi nottetempo) pronti a difenderla con commenti imbarazzanti, del tipo: “grazie, paladina del giornalismo” (commento reale, da Facebook).
Dell’aspetto fisico, detto senza mezzi termini, non ce ne importa nulla… Le critiche che molti muovono (e muoviamo) sulla giornalista, soprattutto da quando si occupa di Cina, sono solo ed esclusivamente professionali.
Giovanna Botteri ha da sempre dimostrato una forte parzialità nel divulgare le notizie, cosa non errata in sé (dovrebbe comunque esserlo il meno possibile, lavorando per il servizio pubblico), anzi, ogni persona deve poter avere e apertamente dimostrare la sua sana parzialità (il mito del “giornalismo imparziale” è uno dei più grandi inganni, occhio a chi ve lo vende…).
Quello su cui non si può prescindere è l’onestà intellettuale, come ci ricorda in una sua massima Gaetano Salvemini.
Attualmente la giornalista è corrispondente Rai da Pechino, referente principale delle notizie che riguardano la Cina.
La linea, il tono e la scelta delle notizie da riportare o meno, segue palesemente una linea filoamericana (nemmeno occidentale) nel migliore dei casi, demonizzante nei confronti della Cina nei peggiori. Le fonti citate e ritenute non solo attendibili, ma le uniche che seguono “la realtà dei fatti”, sono quelle delle agenzie di stampa o di singoli blogger filo-rivoltosi di Hong Kong, un nome su tutti l’Apple Daily di Jimmy Lai (qui per approfondire), che come dimostrato da vari giornalisti e testate internazionali con soventi smentite, diffondono fake news sia sulle notizie interne alla città ad autonomia speciale, che su quelle legate alla Cina in chiave antigovernativa.
Smentite che dalla corrispondente Rai molto raramente (per non dire mai) abbiamo sentito ricevere.
Stessa sorte ha toccato la diffusione delle notizie legate al Covid-19.
I servizi all’inizio della pandemia, quando si riteneva la Cina l’unico paese affetto dal nuovo virus, mantenevano un tono allarmistico e apocalittico (suo come quello degli altri colleghi, questo va concesso), che ha contribuito non poco all’aumento della psicosi collettiva, generalizzando a tutta la Cina quello che stava accadendo in maniera grave in una sola regione. Diversi servizi hanno toccato il grottesco, con collegamenti video in cui l’esagerato vestiario protettivo ricordava un medico della peste medievale, per poi comicamente contraddirsi con le azioni successive visibili in video, a dimostrazione che la situazione reale nelle zone fuori focolaio era molto lontana da quella mostrata (ricordiamo che la Botteri era a Pechino, non a Wuhan); questo aspetto fu evidenziato proprio da un servizio di Striscia la Notizia, molto antecedente a quello incriminato in questi giorni (qui).
Atteggiamento giornalistico che non nasce ora in funzione anticinese, ma che ritroviamo costantemente analizzando la sua carriera, con episodi ed esternazioni anche piuttosto gravi per una giornalista.
Possiamo citare, a titolo d’esempio più significativo, il commento subito dopo l’elezione a Presidente degli Stati Uniti di Donald Trump. Per tutta la campagna elettorale, la linea informativa della giornalista aveva parteggiato, senza mezze misure, per la candidata democratica Hillary Clinton, ma dopo la doccia fredda dei risultati ormai chiari, il commento è stato: «Che cosa succederà a noi giornalisti? Non si è mai vista come in queste elezioni una stampa così compatta e unita contro un candidato… che cosa succederà ora che la stampa non ha più forza e peso nella società americana?».
Dichiarando, in maniera schietta, che la funzione della stampa ha il fine di indirizzare e influenzare il voto, chiudendo pure con una punta di rammarico.
Frase gravissima, anche se applicata all’elezione di un mostro come Donald Trump, peggio ancora dalla voce di una giornalista del servizio pubblico nazionale, pagato dai contribuenti.
E come non aggiungere, nel periodo da corrispondente a New York, le notizie diffuse sempre e solo nella visione e narrazione statunitense riguardanti la guerra in Siria, i rapporti con la Russia, la finta “distensione” con Cuba; linea mantenuta anche quando gli Stati Uniti mentivano in maniera palese e andavano contro il diritto internazionale, come per le questioni riguardanti il Venezuela.
Episodi che seguono sempre una forte e chiara direttiva, quella linea da neocon anni ’80 che giustifica l’assurdo se rivolta a “noi”, aggressiva e accusatoria se rivolta agli “altri”. Un giornalismo molto parziale, ma di quella parzialità disonesta, mistificatrice, sempre vicina alla narrazione dominante.
Quindi, ben venga la difesa per un attacco denigratorio sull’aspetto, ma “paladina del giornalismo”, per cortesia…
“Noi non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti: cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità.
L’imparzialità è un sogno, la probità è un dovere.“
Gaetano Salvemini
PS: parlando del trasferimento come corrispondente; pensate veramente che essere trasferiti da New York, città di una nazione ormai piegata su se stessa, a Pechino, capitale della prima nazione al mondo su quasi tutti i settori, sia giornalisticamente una degradazione?
Marcello Colasanti
Giovanna Botteri dagli Stati Uniti: tre bufale in un minuto.
Coronavirus, la gaffe di Giovanna Botteri a TG2 Dossier
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2 pensieri riguardo “Caso Botteri. Fuori da Striscia, le critiche sono tutte “body shaming”?”