
Ogni anno, il 9 Novembre, siamo costretti alla solita retorica sulla caduta del muro di Berlino, fatta di parole inneggianti “pace e democrazia“, contornata da mille articoli di dubbio taglio storico e vignette ad alto tasso glicemico di Mauro Biani. Ma mai come quest’anno, dati gli eventi, la giornata è apparsa grottesca e insostenibile.
Gli stessi che acclamano e commemorano la caduta di un muro, hanno permesso e avvallato la costruzione di decine di altri muri enormemente più insanguinati del primo, trincerando come una gabbia l’Unione Europea.
In queste ore il confine blindato tra Polonia e Bielorussia è sorvegliato da 12.000 soldati aggiunti alle già numerose guardie di frontiera, mentre a gruppi d’estrema destra è stato lasciato campo libero di operare alla “caccia al migrante” in stile anni ’30 (a cui ormai la Polonia in tutto e per tutto s’ispira nelle azioni e scelte politiche).
I migranti a cui si tenta di bloccare l’accesso con un muro fatto da kilometri di filo spinato rinforzato, sono quelli prodotti dalle guerre imperialiste che l’occidente, Unione Europea compresa, ha compiuto in questi ultimi decenni in medio oriente. Ora che uno degli effetti più tragici e visibili di quelle guerre è ormai davanti ai nostri confini, è necessario scaricare colpe e responsabilità su qualcun altro: incredibile ma vero, sui nostri TG abbiamo potuto ascoltare che la “colpa” della crisi migratoria è del presidente bielorusso Lukashenko, manovrato nientemeno che da Putin. Quindi le nostre guerre in Siria, Libia, Iraq, Afghanistan… tutto non correlato.
Per l’ironia degli eventi, l’unico paese che finora ha fornito un minimo di assistenza, coperte e cappotti è stata proprio la Bielorussia. L’Unione Europea ha strapagato Turchia e Libia per detenere illegalmente e senza il rispetto dei diritti umani basilari i migranti di passaggio nei propri territori. Seguendo questo ragionamento, perché non aiutare anche la Bielorussia ad accogliere, allora? Aggiungendo che i migranti sono passati prima in territorio ucraino, dirottati volutamente in Bielorussia piuttosto che in Polonia, creando lo stallo attuale.

Ma questo non è l’unico confine europeo segnato da muri e violenza. Come accennato in apertura, l’Europa ormai è una grande “gabbia“:
muri tra Grecia e Turchia;
muri tra Bulgaria e Turchia;
muri tra Ungheria e Serbia;
muri tra Austria e Slovenia;
muri tra i paesi baltici e la Russia;
muri nella questione mai risolta all’interno di Cipro tra greci e turchi.
Allargando la visione all’occidente liberista:
il muro della vergogna che isola i (pochi) territori palestinesi con Israele (che ingloba a se, guarda caso, tutti i pozzi d’acqua della regione);
il muro di Ceuta e Melilla (pagato con fondi UE) che separa Spagna e Marocco, dove ogni anno la polizia spagnola uccide migliaia di migranti;
il mai abbastanza citato Muro di Tijuana, che divide militarmente USA e Messico, dove nei 22 anni tra il 1994 e il 2016 sono morte oltre 8.000 persone.
In questi ultimi 3 decenni il liberismo economico ha prodotto disastri umanitari di proporzioni immani, con la conseguente e forzata ondata migratoria proveniente dai paesi sotto conflitto bellico o piegati dall’isolamento economico, le uniche due “politiche estere” che l’occidente conosce. Il prezzo in vite umane è attualmente difficile da quantificare, ma quotidianamente in aumento.
Mentre produciamo servizi in diretta con migranti in stato di assideramento, altri che rischiano l’annegamento in mare, altri ancora stremati da migliaia di kilometri a piedi; la retorica sulla “libertà” che ha portato l’abbattimento del muro di Berlino (senza la minima analisi storica del suo innalzamento) e del successivo dilagare del liberalismo, appare come l’ennesima lente deformata applicata ai nostri poveri occhi.

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