Su Michael Jackson si può scrivere per decenni.
Della sua musica, della sua infanzia, dell’influenza storica, del suo aspetto, delle vicende personali, pubbliche…
Chi più ne ha più ne metta.
C’è purtroppo un dato oggettivo che pochi considerano.
Il 90% di quel che sapete su Michael Jackson è totalmente falso. E quello striminzito 10%, fa parte del lato musicale.
Comprendere qualcuno è cosa assai difficile; comprendere la persona più famosa del pianeta (non per modo di dire, fu dichiarato “più popolare del Papa” in un sondaggio internazionale) sulla base di pregiudizi nati con decenni di articoli falsi (e mai smentiti nonostante le prove contrarie), con un passato così complesso, intricato, denso, diviene impresa titanica.
Di conseguenza, come spiegare che cosa ha significato e cosa significa ancora, quel Peter Pan per tanti ammiratori? Spiegarlo, nonostante quel “nonostante tutto”, che sempre in maniera provocatoria e pregiudiziale accompagna un commento sull’essere un “fan”. Fan… parola che mai mi è piaciuta.
Tutto questo, solo per la musica? Tutto questo, per partito preso?
Servirebbero mille altri articoli per spiegare quel che c’era oltre l’artista.
In realtà, tutto, sta proprio nella musica.
Il pacifista, l’attivista antirazzista, l’ecologista (quando a nessuno fregava nulla), il filantropo (vero, non tramite le aziende multinazionali), la denuncia dei soprusi polizieschi, ma soprattutto, il sognatore di una società diversa. Perché questa, così, non funziona.
E già, tutto si riassume qui. Motivazione per tanto amore da una parte, motivazione per tanto odio dall’altra.
Ma la riflessione non è su questo, ci sono altri luoghi e momenti per il tema.
10 anni. Dieci.
Sono tanti… sempre meno dell’incredulità di allora, che spesso, persiste ancora.
In quei momenti, accadde un qualcosa di particolare. Al dolore della perdita, improvvisa e deludente a pochissimi giorni dal ritorno sul palco, si unì uno strano senso di pace.
Tutto quello che aveva subito, ingiustamente e vergognosamente, finalmente… era cessato.
Omicidio. Una fine orribile, tremenda, che in parte chi “sapeva” poteva presumere da tempo.
Fine che sospettavamo, ma con difficoltà credevamo realizzabile.
Eppure arrivò, almeno, a far cessare vessazione, dolore e solitudine di un uomo.
Purtroppo mi ingannavo, sulla pace ritrovata.
Vedere oggi, a dieci anni di distanza, il rinnovato attacco alla persona e alla memoria, fa infuriare non poco. Certo, la corporeità non c’è più, ma il messaggio, la personalità e i grandi interessi che ruotano intorno a quel nome, non spezzeranno mai quella catena fatta di falsità, opportunismo e politica (sì… anche questa).
La situazione attuale va oltre il singolo caso, oltre la personalità di Jackson.
Intanto, per nessun artista, anche per quelli che oggi sappiamo con certezza nefandezze e crimini (eviterò di citarli), è stata mai ordinata una damnatio memoriae come in questi ultimi mesi. E ancora, questo molto ci suggerisce intorno alla storia del cantante.
Ma l’atto più grave (mettendo da parte il personaggio) che dovrebbe far allarmare chiunque ritiene importante una società basata sul diritto, è che se accettiamo per buone le accuse postume contro una persona che non può difendersi, portate avanti da personaggi palesemente mendaci, ribaltando senza prove più verdetti rilasciati da un regolare tribunale, con l’opinione pubblica che concede maggior peso a quel che un giornale (o “documentario”) ci rifila senza controllo; per nessuno di noi c’è sicurezza e garanzia, quando il mediatico diviene più influente del giudiziario.
Con le parole del giornalista di Panorama Gabriele Antonucci:
“Se un documentario ha il potere di ribaltare le sentenze di una corte di Los Angeles, esautorando fondamenti del diritto quali la presunzione di innocenza fino a prova contraria e che nessuna condanna è comminabile senza che siano prodotte nel processo le necessarie prove, si aprono davanti a noi scenari inquietanti e pericolosi.
Se accettiamo acriticamente le verità raccontata in Leaving Neverland, un domani lo stesso metodo, cioè un processo mediatico senza prove e senza avvocati della difesa, potrebbe colpire un qualsiasi artista, accusato da due sole persone che, per le motivazioni più varie, abbiano un interesse ad infangarlo pubblicamente.
Uno scenario apocalittico, distopico e orwelliano, assai più pericoloso della messa al bando della musica di Jackson, dove, in un futuro non troppo lontano, i processi mediatici potrebbe essere celebrati in diretta tv all’interno di un reality show, nel quale è direttamente il pubblico a casa a decidere con il televoto sulla colpevolezza o meno dell’imputato.”
In questi giorni avrei dovuto visitare Los Angeles, per documentare gli eventi connessi a questo decennale ma, principalmente, per essere presente. I piani sono poi cambiati.
Purtroppo ci ritroviamo a dover necessariamente parlare, anche dopo dieci anni dalla sua scomparsa, di fatti totalmente estranei alla natura e all’arte di questo personaggio, basta aprire i quotidiani di oggi: un sagra della vergogna e dell’ignoranza.
Almeno per questo giorno, rimaniamo saldamenti stretti nel ricordo dei doni che ci ha lasciato. La sua arte e il suo messaggio. I suoi sogni e le sue azioni.
Perché un errore si continua a commettere, da detrattori o da poco informati, quando si dice “…comunque, è stato un grande artista“.
No. Il motivo perché milioni di fan sono ancora lì in prima fila, non è “solo” per l’ovvia grandezza artistica, ma sono e resteranno sempre pronti in sua difesa perché Michael Jackson è stato, ancor più che un artista, in un mondo totalmente disumanizzato, uno dei migliori esseri umani che abbiamo avuto l’onore di conoscere.
Marcello
«Con la morte di Michael Jackson non abbiamo perso solo un amico, ma anche un essere umano sensibile e meraviglioso.
Michael era dotato di una voce fantastica, e le generazioni a venire canteranno ancora le sue canzoni.
Da questa tragedia dovremmo imparare a dare il giusto valore alle persone quando sono ancora in vita.
Se soltanto una piccola parte di tutti i complimenti indirizzati a Michael oggi – in occasione della sua morte – gli fossero stati rivolti durante il suo ultimo anno di vita, magari ora sarebbe ancora tra noi.
Questa è la verità, nuda e cruda. L’unica consolazione è che, da questo momento, Michael splenderà per sempre nella grandezza della sua eredità».
Robin Gibb, cantante dei Bee Gees (25 giugno 2009)
Ascoltai Billie Jean e capii: è un re
Poi le accuse l’hanno massacrato
di ADRIANO CELENTANO
Dentro di me, Michael Jackson è esploso quando dall’album di Thriller sentii per la prima volta Billie Jean. Rimasi colpito oltre che dal suo modo di cantare originalissimo, dall’innovativo arrangiamento di Quincy Jones. Geniali gli archi in controtempo a una ritmica scarna dove il basso, in primo piano, la faceva da padrone a sottolineare che stava per arrivare un Re. Già dall’introduzione, infatti, prima ancora di udire la sua voce, ebbi la strana sensazione come se quel basso dall’aria un po’ ossessiva e quegli archi che come in punta di piedi gli facevano da controcanto, fossero la sua voce. Quasi come ad annunciare: «Ragazzi sono arrivato… per un po’ di tempo ci sarò io…». E lui c’è stato. Le note di quell’introduzione erano il preludio di un qualcosa che stava musicalmente accadendo. Poi arriva la sua voce. E alla fine di quel brano, prima ancora di sentire il resto dell’album, avvertivo già il fragore di un uragano che si sarebbe propagato per tutta la terra.
Settecentocinquanta milioni di dischi venduti. E ora, tutti lì a domandarsi chi l’ha ucciso. La diagnosi di arresto cardiaco, una banalità che dimostra quanto puerili possano essere la fantasia di chi viene colto in errore o l’incompetenza non certo degna di un medico, se si è esagerato nell’iniettare una medicina alla quale si era già assuefatti. Sono appena 48 ore da quando Michael è morto e la parola complotto ha già fatto il giro del mondo.
Ma il vero assassino è davanti a noi, è lì che ci guarda, lo incontriamo tutti i giorni quando andiamo a comprare il giornale o quando guardiamo la televisione. Si può dire che l’assassino ce l’abbiamo in casa, gli diamo da mangiare, da dormire, però non facciamo niente per educarlo a non uccidere. Facciamo finta di non vederlo e ci guardiamo bene dall’incazzarci se la notizia che esce dal piccolo schermo sulla piena assoluzione di Michael Jackson non ha lo stesso risalto di quando invece, per anni, lo hanno infamato accusandolo di molestie sessuali. Per dieci anni i «criminalmedia» lo hanno massacrato nonostante lui si dichiarasse innocente e nonostante nessuna prova sia mai emersa. Lo hanno distrutto, devastato, piegato in due. E quando finalmente avevano l’opportunità di farlo rialzare per il giusto riscatto di fronte al mondo, i media cos’hanno fatto? Gli hanno dato l’ultimo colpo di grazia: hanno detto «Michael Jackson è stato assolto». Ma lo hanno detto talmente a bassa voce che la pugnalata infertagli dai media stavolta è stata fatale.
Con l’animo ancora grondante di sangue ha cercato allora di dar voce a quell’innocenza finalmente riconosciuta, in un modo diverso e come sempre geniale. Lo sforzo era sovrumano. Doveva raccogliere le sue ultime forze ormai sbrindellate dalla micidiale macchina del consumismo e così ha annunciato il suo ultimo incontro con i milioni di fan che si sono scapicollati per avere i biglietti ed essere presenti in uno dei 50 concerti-evento a Londra. Per cinquanta giorni avrebbe cantato, divertito e giocato con chi lo ha sempre amato e non ha mai dubitato della sua innocenza. Avrebbe parlato al mondo di quella verità che i media hanno vigliaccamente omesso. Ma il mondo ora lo ha capito!…
28 Giugno 2009
Qualche lettura consigliata, in questo giorno:
“They don’t care about us” di Michael Jackson: l’attualità di una canzone antirepressione.
Leaving Neverland: tutto ciò che non torna nelle accuse a Jackson
Michael Jackson: i dubbi sul documentario “Leaving Neverland”
Non solo musica, non solo videogiochi: la collaborazione SEGA – Michael Jackson.
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