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Paolo Villaggio: un saluto all’intellettuale, non solo a “Fantozzi”.

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Il triste giorno, alla fine è arrivato.
Il giorno che ci ha visto costretti a salutare un grande personaggio del mondo artistico e culturale.
Paolo Villaggio.

La mente non può fare a meno d’identificare immediatamente il suo alter ego, quel Fantozzi ragionier Ugo che l’ha consacrato come grande attore e maschera comica italiana. Senza dubbio a ragione.
Ma questo aspetto, che dalla mattina della sua scomparsa fino all’ultimo saluto alla Casa del Cinema di Villa Borghese, viene continuamente citato e ricordato nei migliaia di messaggi e articoli di commiato provenienti da colleghi, politici, giornalisti e fan, purtroppo si rivela estremamente riduttivo se accostato alla sua figura, che sì, notoriamente conosciuto per il suo lato comico e d’attore (che l’ha visto vicino anche a Fellini, Olmi, Monicelli, Salvatores, Benigni, Gassman), ma che oscura la vera personalità e qualità del personaggio Villaggio:
un intellettuale dalla profonda cultura e conoscenza, dalle qualità scrittorie originali e geniali, con una competenza storica, filosofica e politica riscontrabile in pochi soggetti.

Da qui dobbiamo partire, ancor prima dell’attore e del comico, per comprendere e valutare la sua personalità e carriera. Nello stesso Fantozzi, seppur nostro compagno di mille risate cinematografiche, si dimentica spesso quale sia la sua genesi.
fantozzi sciarpa.pngDa semplici racconti scritti per “L’Europeo”, le disavventure del rag. Ugo vennero raccolte in quel primo romanzo, “Fantozzi”, che disegna un’arguta e brillante parodia dell’italiano medio degli anni ’70, caratterizzato da servilismo, sudditanza, mediocrità e dall’arrivismo e sfruttamento che lo circonda. In questo romanzo Villaggio sperimenta e inventa una lingua nuova, un italiano che nasce dalle storpiature e dall’incapacità, sia dell’ignorante che del borghese, di coniugare correttamente un congiuntivo o un indicativo, con periodi assurdi, errati, neologismi entrati nell’uso comune degli italiani, fino all’inserimento di quest’ultimi nei dizionari; possiamo leggere sul vocabolario Treccani “Fantozziano: Di persona, impacciato e servile con i superiori”.
Per queste motivazioni e per l’indubbia valenza storica, che inquadra in maniera goliardica ma spaventosamente esatta l’Italia degli anni ’70, nel 2011 per i 150 anni dell’Unità d’Italia, il romanzo è stato inserito dal comitato scientifico del “Centro per il libro e la lettura” tra “I 150 libri che hanno segnato la storia dell’Italia”, mentre Il film è stato selezionato tra i “100 film italiani da salvare”.
Riconoscimenti culturali che non si fermano alla sfera nazionale; il libro “Fantozzi” fu insignito dell’importante premio sovietico “Gogol”, sotto gli increduli e un po’ arrabbiati occhi di Alberto Moravia presente in sala, dopo una pioggia di applausi da parte russa alla famosa frase “la corazzata Kotiomkin…. è una cagata, pazzesca!!!” (aneddoto più volte raccontato dallo stesso Villaggio).
Insomma… Fantozzi, tutt’altro che un filmetto demenziale.

Una comicità, quindi, che prima di tutto nasconde, e in alcuni casi ostenta, una preparazione, una ricerca, uno studio che rappresentano un caso forse unico del suo campo. Nei suoi libri, spietati quanto divertenti, Paolo Villaggio si permette il lusso di scrivere e citare a proposito su Socrate, Platone, Kant, Marx, passando per Gesù, Buddha, Shiva, Dio, arrivando fino a Garibaldi, Hitler e Berlusconi. Non con superficialità, Villaggio sa perfettamente di cosa parla quando cita la filosofia, la religione, la politica, la storia. Solo così, con tematiche del genere, puoi far ridere. E ci riesce, mentre tra una risata e l’altra, fa riflettere.

fabrizio-il-fannullonecarlo-martello-ritorna--L-hw_IQr.jpgArtisticamente e umanamente impossibile non citare la sua amicizia con Fabrizio De Andrè, amico d’infanzia e di mille goliardie, che per lui unirà il suo genio alla musica scrivendo vari testi, su tutti, Carlo Martello ritorna dalla battaglia di Poitiers, che sotto una tematica medievale storicamente inesatta (volutamente), si prende beffe del potente demitizzandolo e rendendolo un cialtrone, in un chiaro brano antimilitarista:
« Il sangue del principe e del moro
arrossano il cimiero d’identico color »

O ancora, Il fannullone, dove racconta una reale parte lavorativa della sua vita all’Italsider di Genova:
“non si risenta la gente per bene
se non mi adatto a portar le catene.”

paolo villaggio democrazia proletariaPoliticamente, la sua competenza non è mai rimasta sterile, sempre impegnata e militante: da giovane maoista (sempre insieme a De Andrè) d’estrema sinistra “alla sinistra del partito comunista cinese”, come scherzosamente affermava, a sindacalista dell‘Italsider e comunista convinto, sostenitore del PCI che ha “sempre votato, civilmente, con molta fedeltà”, fino alla candidatura con Democrazia Proletaria. Dopo la fine della prima Repubblica, una brevissima parentesi con il Partito Radicale più per provocazione che convinzione, e negli ultimi anni simpatizzante del concittadino Beppe Grillo e del suo Movimento, comunque aspramente e pesantemente criticato nelle interviste del dopo 2013 (ma guarda caso, mai citate in questi giorni…).

 

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1971 – Paolo Villaggio e Gian Maria Volonté danno sostegno agli operai che occupano gli stabilimenti della Coca Cola.

Commentando il Paolo uomo, siamo stati abituati alla nenia sul Villaggio cinico, antipatico, addirittura cattivo. Basti pensare che in questi giorni “Il Fatto Quotidiano”, su firma di Ivo Mej, arriva addirittura a scrivere “piangiamo l’artista, meno l’uomo”, con una carrellata di frasi tra le più (apparentemente) controverse attribuite all’attore.

Al riguardo, per quanto poco possa contare, è l’esperienza personale che mi fa in questo momento “piangere” (riutilizzando il termine del Fatto) non solo l’artista ma anche l’uomo.
Quattro anni fa ho avuto il piacere e l’onore di conoscere il Maestro, passare una piacevole serata e cena con lui. Un incontro di certo atipico, nato come spettacolo teatrale, proseguito come un lungo dialogo, un incontro tra più amici, che tutto hanno da cogliere e apprendere da un vecchio saggio, forte della sua longeva esperienza e dalla immensa cultura. Ma non fu un senso unico: quel che cercava da quella serata, forse per solitudine, forse per passione umana (anche se da lui sprezzantemente giustificata “lo faccio per soldi“), si leggeva la necessità di lasciare, ma ancor di più di ricevere, un qualcosa, un’idea, un dialogo, un momento con gli altri.
Delle decine di persone presenti, non a caso la sua attenzione cadde sui tre soggetti più giovani, di cui io facevo parte.
Tra un aneddoto e l’altro, uno più esilarante dell’altro (non dimenticherò mai la sua personale versione della vicenda di Adamo ed Eva, non riportabile per non cadere nella blasfemia), sia di cultura generica che di personale esperienza storica; noi tre giovani eravamo i continui chiamati in causa, in quella che ormai era una chiacchierata tra dei giovani e un dispensatore di ricordi e saggezza, curioso di conoscere la visione di un ragazzo che i problemi odierni li vive sulla pelle con il peso del futuro sulle spalle.
Parlando della decadenza del sistema occidentale, mi disse: “Alzati, dillo a tutti…”.
Per poi confessarmi: “hai fatto un quadro perfetto, sono totalmente d’accordo… perché, oggi che la Cina è il futuro, la maggior potenza mondiale, non emigri lì?”.
Senza immaginare che quel viaggio era in serbo da anni e a breve si sarebbe avverato.
E nel salutare tutti, prima di andare, il cercarci. “Dove sono i ragazzi???”, dispensando di nuovo auguri e consigli per il futuro, anche sul dolce dicendomi sottovoce “il dolce alla fine, non lo mangiare, assomiglia e sa di merdaccia…”

Questo piccolo aneddoto (sicuramente limitato, sicuramente insufficiente) per condividere un positivo ricordo di questo personaggio troppo spesso, eccessivamente, dipinto nella sua veste cinica.

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Certamente, il cinismo nelle sue parole, nei suoi pensieri, nelle sue provocazioni, è presente.
Ma in una società neoliberista e in un sistema mediatico basato sulle inesattezze e sulle falsità, come il nostro, chi ha l’intelligenza di carpire la realtà, chi ha la cultura per poterla elaborare in funzione del passato, chi ha il coraggio di esporla, senza troppi giri di parole o filtrata dal decadente “politically correct”, non può che apparire antipatico, cattivo, per l’appunto, cinico.

Continuo a preferire il suo intelligente cinismo piuttosto che la piatta, imposta e continua retorica, le continue paroline elementari sempre uguali e di circostanza, che nemmeno la morte di Paolo Villaggio è riuscita ad evitare, dati i continui “ora sarai lassù in cielo” (pronunciati anche e soprattutto da chi lo conosceva bene), rivolti ad un artista che si dichiarava “ateo da sempre” e che non credeva in quella “truffa che chiamano aldilà”.

Nel rispetto della sua intelligenza e di quel che rappresentava, se un augurio va fatto, in relazione all’attuale condizione di “nero assoluto” che lo avvolge, è più corretto mantenere quell’impostazione, dura e sprezzante, citando le sue parole in un commento rivolto al Siddharta:

“La morte, che è l’annullamento del dolore e, quindi, la felicità.”

 

Caro Paolo, sappi comunque che “io… ti stimo moltissimo…”.

Che la terra ti sia lieve.

Marcello Colasanti

 

Che fine faremo tutti

“Purtroppo, è facile prevedere che una nuova terribile, invisibile e subdola forma di dittatura ci riporterà in pochi anni a quella comoda condizione della assoluta mancanza di libertà di pensiero.
Forse saremo più felici, ma vivremo incatenati in lunghe file a costruire le nuove piramidi.”

PAOLO VILLAGGIO

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