La serie televisiva satirica South Park viene spesso criticata per i suoi toni troppo sopra le righe e per la sua volgarità. Purtroppo la maggior parte degli spettatori e della critica di settore, prestando la sbilanciata attenzione alla facciata di irriverente provocazione e del “politicamente scorretto”, perdono il lato più importante della serie, crescendo nella complessità e qualità di anno in anno; parliamo della profondità dei contenuti e dei messaggi, esposti senza filtro alcuno, ma con intelligenza, originalità, e che palesano un’importante morale di fondo che induce alla riflessione (proprio quello che la buona satira dovrebbe fare), dando chiavi di lettura della società e dell’attualità politica con largo anticipo, in alcuni casi quasi profetici.
UN EPISODIO PARTICOLARE
Nell’ottavo episodio dell’ottava stagione, la scuola elementare di South Park deve votare la sua nuova mascotte, ma i soli due candidati, che rappresentano la scelta obbligata per gli studenti, sono (perdonate i termini…) una peretta gigante e un panino alla merda.
Uno dei quattro protagonisti, Stanley Marsh, di fronte ad un’opzione che implica il “meno peggio”, decide di astenersi dal voto, motivando la sua scelta proprio sul fatto che, se questa è pessima in ogni caso, è inutile. La reazione di tutta la comunità nei suoi confronti è di forte critica, arrivando addirittura alla minaccia fisica, incolpandolo d’insensibilità civica e di non tenere ai valori democratici.
Mascherata sotto una grottesca e improbabile votazione scolastica, gli autori di South Park hanno rappresentato quella che è la realtà politica statunitense, dove all’effettivo non esiste una democratica scelta, ma una votazione su qualcosa che è già stato precedentemente pianificato, con la relativa reazione delle persone convinte di esercitare un diritto nei confronti di chi ne comprende la falsità e non accetta determinate forzature.
Questa critica da parte di una serie americana, che stupisce per la sua lucidità e adeguatezza, è del 2004, tanto riuscita e calzante che proprio quest’anno, nel ventennale della serie, è la trama portante della 20° stagione.
LE ELEZIONI DEL 2016
Guardando alle elezioni statunitensi che domani decreteranno il nuovo Presidente americano, il bizzarro parallelismo sembra più veritiero che mai, quasi profetico nei suoi 12 anni di distanza, paragonato alla scelta che gli elettori americani si troveranno a fare, con il candidato Democratico Hillary Clinton e quello Repubblicano Donald Trump.
Due candidati, a dir poco disastrosi.
Analizzandoli più da vicino, troviamo l’incarnazione degli aspetti più distruttivi del neoliberismo capitalista.
PER I REPUBBLICANI…
Potere politico derivato dal denaro e utilizzato per favorire i propri interessi, potere economico costruito in maniera illecita e sullo sfruttamento dei lavoratori, grettezza, ignoranza, sfruttamento dell’ignoranza popolare, sessismo, razzismo, esaltazione della disuguaglianza sociale; questo è quel che troviamo in Donald Trump, il candidato Repubblicano, lo stesso che una ventina di anni fa diceva “se mai mi candiderò, lo farò con i Repubblicani, sono ignoranti e stupidi”, ma scelto comunque alle loro primarie.
Con la sua politica ultra-conservatrice, che insulta le donne, le minoranze (che minoranze non sono), che gioca sull’odio razziale, esempio il potenziamento del muro al confine con il Messico (potenziamento perché, come spesso dimentica la nostra stampa, la “barriera di separazione” o muro di Tijuana già esiste, non vuole costruirlo da zero, muro che dal 1994 ha ucciso un numero imprecisato di persone, calcolabile intorno alle 8.000. Giusto per, in 28 anni di Muro di Berlino ne morirono 133…), una politica economica che si scontrerà con un sicuro conflitto d’interesse, nonché la sua forza basata principalmente sui social e i famosi “tweet”; si rivolge soprattutto (ma non solo) a quell’immenso partito che negli USA viene chiamato il “the stupid party”, composto dal classico bianco, maschio e incolto.
In fondo, per una volta, noi abbiamo preceduto gli Stati Uniti, dato che un candidato del genere, quasi una fotocopia in tutti i termini sopracitati, l’abbiamo votato e fatto vincere per 20 anni.
… E PER I DEMOCRATICI
Immaginare qualcosa di peggio era difficile, eppure, dall’altra parte sul fronte Democratico ci sono riusciti, eliminando un candidato che poteva veramente giocare un ruolo “alternativo” come Bernie Sanders (sempre configurato in un frame americano, sia ben chiaro, nulla di rivoluzionario), ed eleggendo alle primarie la moglie di uno dei Presidenti più chiacchierati, Hillary Clinton.
In quest’altra faccia del potere capitalistico americano, troviamo il peggior lato guerrafondaio, fanatismo imperialista, la forzata egemonia neoliberista, l’ingerenza contro le sovranità popolari degli altri paesi tramite la provocazione di guerre civili o attacco diretto, potere delle lobby e dei grandi trust economici.
La signora Clinton, che ha ricoperto il ruolo di Segretario di Stato del relativo Dipartimento (che coordina la politica estera), ha fortemente sostenuto le guerre che gli Stati Uniti hanno, più o meno direttamente, provocato e finanziato, come in Afghanistan, Iraq, Yemen, Somalia, Libia.
E proprio l’operazione in Libia del 2011, durante quella “primavera araba” pilotata e pagata dalla NATO insieme agli immancabili amici Emirati, vide come primo artefice il Segretario Clinton con tanto di foto esultante alla morte di Muhammar Gheddafi, in cui l’amministrazione Obama decise di sostenere quei “ribelli” risaputamente membri di organizzazioni terroristiche: schema vecchio, ma sempre utile per la politica estera americana, dai mujaheddin passando per Al Qaeda e l’ISIS.
Evitata anche la transizione pacifica; uno dei figli di Gheddafi cercò un dialogo con gli USA, fermamente respinto dalla politica Clinton-Obama. Una tragedia che ha portato alla destabilizzazione non solo del nord Africa, ma di un’area estesa su tre continenti; a posteriori, Obama lo definirà “il mio più grande errore”. Un po’ tardi ormai.
Sostenitrice dei golpe e relative guerre civili innescate dagli USA, primi fra tutti quello del 2009 in Honduras e del 2014 in Ucraina; singolare, su quest’ultimo, notare che fra le donazioni alla Clinton Foundation per la campagna elettorale, troviamo 29 milioni di dollari donati da oligarchi ucraini. Molto, forse troppo singolare.
Hillary Clinton è la rappresentante attuale delle forze lobbistiche e corporative che dominano la politica americana, special modo dell’industria bellica su cui, ormai, da più di venti anni gli Stati Uniti scaricano la loro eccedenza economica, con il risultato nefasto di un bisogno di guerra permanente.
E qui troviamo l’aspetto più pericoloso relativo alla candidata democratica, derivante dagli interessi che la sua figura è costretta a difendere; la visione della politica estera americana.
Aggressiva, interventista, proseguirà quella che è stata la politica dell’amministrazione Obama, inaugurata anche con il suo consenso in veste di Segretario di Stato. Le sue parole di ostilità rivolte a Cina e Russia, i due attori di primo piano della scena mondiale, nonché competitor degli USA, arrivano in un momento in cui l’equilibrio è retto proprio da questi due paesi, che per ora (ma chissà per quanto), non hanno risposto alle tante provocazioni che subiscono dalla NATO, come il cordone militare che va dall’Estonia alla Romania, al golpe Ucraino, alle navi americane nel Mar Cinese Meridionale. Un tale Presidente che non cercherà, come confermato da lei stessa, un dialogo ma una linea dura sotto la falsa promozione della libertà (vecchio pretesto per l’ingerenza e il dominio), è un pericolo per la pace e che apre scenari da 3° guerra mondiale.
SCEGLI LA FACCIA… DELLA STESSA MEDAGLIA
Questi due candidati, fino a ieri in ottimi rapporti come più di una foto può dimostrare, ma che oggi si scambiano accuse a suon di scandali nuovi e passati in un patetico teatrino televisivo, sono la prova che il sistema di “democrazia” occidentale ci regala solo “l’impressione” di detenere un potere, una scelta con lo strumento del voto, quando in realtà quest’ultima è viziata fin dalla radice.
Il potere capitalista si mostra con due facce diverse, polarizzate in apparenti correnti (il famigerato, anche qui da noi, bipolarismo):
viene data la libertà di scelta, sì, ma di scegliere sempre la stessa medaglia.
Vera democrazia politica è quando chiunque, a prescindere dal ceto sociale e dalla propria posizione economica, ha le stesse possibilità di chiunque altro di poter esporre e far valere le proprie idee e istanze, nella medesima misura degli altri. Cosa impossibile in un paese neoliberista, dove l’acceso ai mezzi di comunicazione, e quindi dell’attenzione della grande massa, è appannaggio esclusivo dei grandi capitali privati, di cui ne sono addirittura i proprietari.
La forzatura del bipolarismo arriva proprio dalla mancanza di democrazia reale. Si viene ascoltati solo se si ha un capitale finanziario considerevole per una campagna elettorale: personale (e nulla si dà per nulla), o messo a disposizione da qualcuno o qualcosa che poi avrà sudditanza sull’eletto.
Una persona dalle “normali” finanze, con i propri limitati mezzi, è totalmente estromesso dal sistema, così la sua voce e le sue idee.
Ma questo “schema” bipolare precostruito è anche sostenuto dagli elettori stessi, che non vedono nulla oltre il duo mediatico, quando in realtà altro c’è. Con mezzi limitati, mediaticamente emarginati, poco visibili se non per nulla, certo… ma ci sono.
Ben 29 candidati sono in corsa per l’elezione (seppur non per tutti gli Stati) a dimostrazione che non esistono solo i forzati neocon Repubblicani e Democratici, e il voto, se usato con coscienza e consapevolezza, è ancora un mezzo importante d’espressione.Tra questi spiccano Gloria La Riva, attivista dalla California, candidata per i partiti Party for Socialism and Liberation, Peace and Freedom e Liberty Union Party, che propone un programma per una maggiore giustizia sociale e contro la guerra; oppure l’ambientalista Jill Stein, candidata del Partito Verde, molto più conosciuta della prima, che propone un programma realmente progressista e ambientalista, sganciato da qualsiasi pericolosa corporazione.
Votarle con un’importante percentuale, anche se non vinceranno, sarebbe un importante messaggio di coscienza collettiva e che farebbe la differenza, per dimostrare che gli schemi imposti da quel famoso 1% non sono più accettabili e che lo schema bipolare è stato finalmente compreso e non sostenuto.
La maggior parte degli “elettori”, purtroppo, continuerà ad andare in quell’urna pensando di adempiere al proprio diritto-dovere democratico, convinti di fare la differenza scegliendo, (non liberamente e non coscientemente) ancora una volta, tra una peretta gigante e un panino alla merda.
Marcello Colasanti
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ARTICOLO SCRITTO PER “IL GIORNALE DEL RICCIO”,
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2 pensieri riguardo “Analisi dell’elezione del Presidente degli Stati Uniti 2016: una profezia di South Park.”