Articoli del 2022 · Attivismo · Cronaca · Politica · Repressione e controllo

Sgombero e “legge anti-rave”: la sintesi di due valutazioni agli estremi.

Sullo sgombero del rave di Modena e conseguente “legge anti-rave“, leggendo i commenti più comuni e ridondanti si è caduti nella trappola degli estremi, anche internamente alle stesse barricate politiche.
Le due considerazioni con conseguenti riflessioni, in realtà, andrebbero sostenute di pari passo.

– La prima, sicuramente la più fraintendibile.
Fermo restando che sentenziare sul modo di divertirsi altrui costituisce di per sé un problema sociale; contesti d’innegabile problematicità continuano ad essere difesi in maniera inoppugnabile da una parte di quel mondo frastagliato “a sinistra” e antagonista, anche quando ormai il contesto storico e politico ne decretano un fenomeno vuoto, che svuota quella “spinta propulsiva” che solo i giovani hanno la capacità di esternare, sottraendo strumenti a quel cambiamento, d’idee e d’intenti, che ci si prefigge d’ottenere.
Il messaggio che fatica a passare in questi ambienti, dopo ormai decenni di fallimenti al riguardo, è che il degrado NON è alternativo, ancor meno rivoluzionario.
Potremmo allargare il discorso ad altri contesti specifici, gruppi e interi quartieri.

– La seconda, il sottovalutare le modalità mediatiche della vicenda e la conseguente repressività, che ben poco ha a che vedere con i rave.
La vicenda, che in un contesto “normale” riguarderebbe le autorità locali e qualche colonna sulle gazzette di provincia, sta ricevendo un eco mediatico nazionale di proporzioni inaudite: da due giorni ha soppiantato Putin, Ucraina e gas.
La finalità politico-strumentale da parte del neo-governo è palese, soprattutto in questo preciso momento storico, con priorità politiche di natura nazionale e internazionale estremamente più impellenti e bisognose di normative. Un classico esempio di “problema mediatizzato” (puoi approfondire qui): il pubblico sta esprimendo un giudizio su un fenomeno che il 95% della popolazione non conosce direttamente e ne dà valutazione solo per sentito dire (ovviamente male). Anche nel caso di un “sentito corretto“, rimane un “problema” distante dal suo quotidiano e che influirà sulla sua percezione della vita in maniera del tutto ininfluente per lontananza sociale, culturale e geografica.
Il governo Meloni con il Ministro dell’Interno Piantedosi, sotto la bandiera della legalità e del vivere civile, propone come “soluzione al problema rave” un nuovo articolo del codice penale in cui i rave non sono nemmeno citati al suo interno.
Leggiamo che l’applicazione regolamenta “l’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, se il fatto è commesso da più di 50 persone allo scopo di organizzare un raduno dal quale possa derivare un pericolo per l’ordine pubblico o la pubblica incolumità o la salute pubblica”.
Gli intenti sono chiaramente altri e hanno ben poco a che fare con la musica techno: scritto così, con la nebulosità del “pericolo per l’ordine pubblico“, un picchetto di uno sciopero non autorizzato davanti ai cancelli di un’azienda è perfettamente aderente alla norma (e ormai da anni il diritto allo sciopero, quello vero e conflittuale, è represso col sangue), così come una manifestazione spontanea di qualsiasi natura, da quelle limitate ai contesti di quartiere alle studentesche.
La norma prevede fino a 6 anni di carcere e 10.000 euro di multa, chiude il quadro la “prevenzione” via intercettazione su chat e social network.

Che il governo più a destra della storia repubblicana portasse con sé una ventata di repressività nei confronti del conflitto, soprattutto sui temi dei diritti (in particolare del lavoro), ne eravamo ben a conoscenza. Nessuno stupore al riguardo.
A sinistra, limitarsi nella valutazione alla sola particolarità del pericolo di una norma nascondendoci una valutazione culturale e sociale che manca da troppo tempo, come al contrario, l’aver portato avanti tale valutazione e in base a questa minimizzare e non comprenderne l’utilizzo strumentale di questi giorni, non porta altro che un ulteriore frammentazione delle voci di dissenso, che mai come oggi sono inefficaci, inappropriate e impotenti.

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