Il 16 Ottobre, è morta a Catania una donna di 32 anni, incinta di due gemelli alla diciannovesima settimana.
Per la ricostruzione della vicenda, riportiamo direttamente le parole del legale di famiglia, che ha presentato l’esposto alla Procura:
«La signora al quinto mese di gravidanza era stata ricoverata il 29 settembre per una dilatazione dell’utero anticipata. Per 15 giorni va tutto bene. Dal 15 ottobre mattina la situazione precipita. Ha la febbre alta che è curata con antipiretico. Ha dei collassi e dolori lancinanti. Lei ha la temperatura corporea a 34 gradi e la pressione arteriosa bassa.
Dai controlli emerge che uno dei feti respira male e che bisognerebbe intervenire, ma il medico di turno, mi dicono i familiari presenti, si sarebbe rifiutato perché obiettore di coscienza:
“fino a che è vivo io non intervengo”, avrebbe detto loro.
Quando il cuore cessa di battere viene estratto il feto e mostrato morto ai familiari.
Due di loro possono avvicinare la donna che urla dal dolore e grida continuamente “aiuto”. Viene eseguita una seconda ecografia e anche il secondo feto mostra delle difficoltà respiratorie. E anche il quel caso il medico avrebbe ribadito che lo avrebbe fatto espellere soltanto dopo che il cuore avesse cessato di battere perché lui era un obiettore di coscienza».
Seppur si tratti di caso limite, dato che ci troviamo di fronte all’ottusità di un medico che ha portato alla morte una donna per una sua omissione, non obiezione, data la gravità della situazione ripresentatasi per ben due volte (siamo, probabilmente, ben oltre la soglia dell’omicidio colposo); questo episodio è una conseguenza della situazione degli ospedali italiani dove, all’effettivo, il diritto della donna all’aborto non è realmente garantito.
Gli obiettori di coscienza in Italia, attualmente, raggiungono picchi spaventosi, parliamo del 70% dei ginecologi, distribuiti anche in maniera disomogenea; al sud si arriva al 93%, nel Lazio superano l’80%.
Il problema non è l’effettiva volontà dei medici, ma del sistema sanitario che predilige, in alcuni contesti obbliga, il medico all’obiezione per iniziare la propria carriera e/o proseguirla. Il legame, fortissimo, tra strutture sanitarie e Chiesa Cattolica, purtroppo, in questo caso gioca un ruolo di incontrovertibile sudditanza.
I pochi medici che si trovano all’interno delle strutture pubbliche e decidono di non obiettare, vanno incontro a discriminazione, emarginazione e, per il bassissimo numeri di non obiettori, a fare solo ed esclusivamente aborti, con turni di lavoro esasperanti.
Le donne che, ricordiamo, per qualsiasi motivo vogliono o devono interrompere una gravidanza (dato che i motivi, non sono solo di carattere morale-decisionale), esercitando un diritto acquisito con lotte decennali, la famosa legge 194; sono molto spesso costrette a ricorrere alle strutture private (dove, sovente, troviamo medici che a livello pubblico erano obiettori), tanto che in Italia 3 aborti su 4 sono fatti da privati, con i costi che si aggirano tra i 1000 e i 1300 euro. Oppure, rimane la strada delle strutture ospedaliere di altre nazioni, sempre economicamente dispendiosa.
Come suggerisce la tragedia di Catania, il problema va oltre quello morale dell’interruzione di gravidanza, perchè le casistiche, sono innumerevoli. E’ vergognoso che, attualmente, con pressioni esterne di carattere politico e religioso, una questione così personale, ma soprattutto un diritto che lo Stato dovrebbe tutelare, venga subdolamente eluso con pressioni e ingerenze da parte di organi esterni.
Fermo restando che il medico in questione ha responsabilità che vanno ben oltre la semplice obiezione; se ci fosse stato un numero proporzionato di medici non obiettori in quell’ospedale (in Sicilia si supera l’80%) e quei pochi non si trovassero nei soli reparti per le interruzioni delle gravidanze, questo caso, forse, poteva avere un esito differente.
Su questo, un articolo di ben 5 anni fa, apparso su Blitz Quotidiano e che parla proprio del 2016, si rivela profetico…
Colasanti Marcello
Tra cinque anni in Italia non si potrà più abortire
del 20/10/2011 – Blitz Quotidiano
ROMA – Nel 2016 in Italia non si potrà più abortite. Cinque anni e i medici non obiettori non ci saranno più. Oggi sono 150 in tutta Italia, spesso emarginati dagli altri colleghi, e quando andranno in pensione non ci saranno sufficienti nuove leve. Una fotografia drammatica che vede sempre meno applicata la legge 194, quella che regolamenta l’aborto in Italia, varata nel 1978 e confermata nel 1981 con apposito referendum.
Sempre più difficile l’aborto entro il terzo mese, quasi impossibile quello terapeutico, che si effettua fino alla ventesima settimana in caso di malformazione del feto. Questi ultimi sono gli interventi più complessi e dolorosi. E se per le prime interruzioni di gravidanza gli ospedali possono ricorrere a personale esterno, per gli aborti terapeutici non è possibile, servono medici “strutturati”. Ecco perché questi interventi sono (e saranno) sempre più difficili.
L’obiezione di coscienza è aumentata a dismisura negli ultimi anni. I ginecologi obiettori nel 2005 erano il 59,7%, nel 2009 erano ben il 70,7. Gli anestesisti, negli stessi anni, sono passati dal 45,7 al 51,7%. I paramedici dal 38,6 al 44,9%. Allo stesso tempo il tasso di abortività, dal 1980 a oggi, si è pressoché dimezzato, passando dal 15,3 di 30 anni fa al 8,2 del 2010.
Il fatto è che i medici non obiettori sono spesso emarginati, vessati, costretti a turni massacranti e a fare solo aborti. Una dottoressa di un ospedale pubblico delle Marche ha raccontato a Repubblica: “Otto anni senza ferie, senza potermi occupare né di parti né di altri interventi, solo e soltanto aborti. Nel gelo e nel disprezzo degli altri colleghi, come fossi una ladra. Ho avuto un esaurimento, ho detto basta. Adesso il servizio di interruzione della gravidanza è chiuso”. E le nuove leve, per paura di un trattamento simile, dichiarano subito l’obiezione per non avere intoppi di carriera e non finire “al confino”.
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