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Lettera di Mark Covell sull’irruzione alla Diaz.

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Pubblicato il 30 Luglio 2013

 

Questa è la lettera che Mark Covell, giornalista inglese che si trovava per lavoro al G8 di Genova, ha inviato al giudice del tribunale di sorveglianza di Genova.

Il giornalista fu quasi ucciso nell’irruzione delle forze dell’ordine eseguita il 21 Luglio 2001 nella scuola Diaz, definita da Amnesty international:
“la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale, dalla fine della II guerra mondiale”.


La gravità dell’accaduto non risiede solo nel contesto dell’aggressione, ma anche e soprattutto nel dopo e nel ragionamento dietro l’aggressione.
Il problema è nella sicurezza dell’impunità che muove tali soggetti. Sanno con certezza che, in un modo o nell’altro, la legge non è uguale per tutti.

Con manomissioni, omissioni, depistaggi, pressioni, intimidazioni, è stata evitata l’applicazione della giustizia su quegli uomini che dovrebbero far rispettare le leggi, ma invece ne sono al di sopra.

Se non risolveremo questo enorme problema, continueranno, sentendosi autorizzati, a utilizzare il potere in maniera arbitraria e fascista, perché di fascismo si tratta, il volere e pretendere totale subordinazione.

  Basterebbe farsi guidare dai grandi pensatori come Cesare Beccaria, che tante parole ha speso riguardo la tortura. Parole che ci fanno capire come la nostra situazione sia antiquata e retrograda,  se dobbiamo ancora difenderci da tali atti contro la persona e la dignità umana.

Tutto questo è ancora presente nel nostro Paese, come ci suggeriscono i casi di Federico Aldrovandi, Giuseppe Uva, Stefano Cucchi, Michele Ferulli, Manuel Eliantonio, o la totale e sistematica disinformazione sulla Val di Susa.


Per qualsiasi reato, se si viene arrestati, siamo persone in custodia dello Stato, non oggetti senza dignità e diritti, su cui un altro uomo ha l’arbitrio di fare ciò che vuole; chiunque delinque, deve pagare il suo debito con la società, non la sua vita per il divertimento di qualche individuo sicuro di essere impunito.

Peggio se ciò accade su persone che semplicemente esprimono un’idea o un dissenso; ancor di più se queste persone, semplicemente, non avevano fatto nulla.
Annullamento di dignità, di diritti legali, umani, prevaricazione di una classe su un’altra.

Questo è, semplicemente, fascismo.

E secondo voi, un potere così enorme, può essere detenuto in mano a persone che hanno queste basi ideologiche (anzi, d’ignoranza), che non hanno mai letto (o capito) un solo scritto di Beccaria, fondatore della base giuridica moderna?

Solo con alla base il senso di giustizia, libertà, diritto giuridico, diritti sociali, diritti umani, rispetto per il pensiero altrui, rispetto per la dignità e legalità, si potrà avere un vero cambiamento, base che oggi, in un esecutivo radicato in ideologie fasciste, non troveremo mai, dato che ciò è la negazione di tutte loro.


Marcello Colasanti

 

LA LETTERA DI MARK COVELL


Dear Dr. Giorgio Ricci,
Mi chiamo Mark Covell. Sono il giornalista inglese che fu quasi ucciso nell’irruzione alla Scuola Diaz durante il G8 di Genova del 2001. Mi permetto di inviarLe questa lettera per esprimere ciò che provo a proposito delle condanne inflitte con la sentenza della Suprema Corte di Cassazione, lo scorso Luglio. So che ci saranno diverse udienze per decidere se i poliziotti condannati dovranno scontare la pena in carcere o no.

Nonostante non sia una pratica usuale per un giudice ricevere una lettera del genere, Vi scrivo per farVi sapere esattamente cosa provo, come una delle vittime più conosciute, e ciò che tutti noi della Diaz ci aspettiamo di veder fare, in nome della giustizia.

Chiedo a tutti coloro che considereranno il contenuto di questa lettera di comprendere che noi, vittime della Diaz, abbiamo vissuto un inferno che non si è fermato solo alla notte della “macelleria messicana”. Abbiamo visto da lontano, e talvolta anche da Genova o da Roma, queste persone condannate venire promosse di volta in volta, fino al punto in cui hanno potuto usare gli strumenti e le risorse del loro lavoro per intimidire, minacciare e mettere sotto sorveglianza le vittime di Diaz. Essi hanno inoltre ostacolato la giustizia, distrutto le prove ed eretto un muro di silenzio che abbiamo dovuto fronteggiare per anni. Non mi risulta che siano mai state pronunciate parole di comprensione o di scuse nei confronti delle loro vittime, né che vi sia stata resipiscenza rispetto ai fatti commessi.

Per quasi dodici anni, tutti noi della Diaz abbiamo visto uomini come Berlusconi e altri cambiare le leggi e le regole del gioco, in modo da permettere ai poliziotti di sfuggire a qualsiasi sanzione per le loro azioni nella notte della Diaz, come ad esempio la riduzione della prescrizione e l’introduzione di leggi volte ad assicurare l’immunità delle Forze di Polizia condannate a pagare una qualsiasi forma di risarcimento.

Ma, nonostante ciò che Berlusconi e altri politici hanno fatto, i superpoliziotti condannati della Diaz mantengono la loro buona parte di colpa e responsabilità.

Inoltre, sembra che i diritti dei criminali poliziotti condannati siano sempre stati tenuti in maggiore considerazione rispetto ai diritti delle vittime. Mettendo da parte tutte le promozioni, ad alcuni di questi uomini è stato permesso di dichiararsi nullatenenti per evitare di pagare un solo euro a titolo di risarcimento a noi vittime, lasciando l’onere ai contribuenti italiani. Inoltre, grazie all’indulto, nessuno di loro finora ha mai scontato un solo giorno di carcere, per i loro crimini.

A proposito dell’indulto, posso solo dire che è stato enormemente ingiusto vedere poliziotti che hanno scritto la pagina più nera della storia della Polizia Italiana, distruggendone la reputazione, essere autorizzati a beneficiare di uno sconto di pena significativo. Nel mio paese l’indulto è concesso solo a detenuti che hanno commesso reati minori e che comunque hanno già scontato una parte della pena. Non è concesso ad alti comandanti della polizia, che sono stati condannati per reati gravi come percosse, tentato omicidio delle vittime, falsificazione delle prove (vale a dire due bottiglie molotov), falsi arresti, false dichiarazioni, abusi e torture.

A proposito dei falsi arresti e delle false dichiarazioni, desidero sottolineare che il falso arresto per associazione a delinquere di vittime gravemente ferite è stato compiuto con il preciso intento di mandare in carcere le vittime per almeno 10-15 anni sulla base di false accuse e coprire ciò che Amnesty International ha chiamato “la più grande sospensione dei diritti democratici in un Paese occidentale dalla Seconda Guerra Mondiale”.

E qui stiamo discutendo se Gratteri e altri poliziotti condannati debbano scontare una pena di meno di due anni!

Dov’è il confronto? Come una delle vittime gravemente ferite della Diaz, vorrei vedere questi poliziotti scontare in prigione esattamente lo stesso periodo di tempo che loro stessi hanno tentato di infliggere a noi, sulla base di prove e dichiarazioni assolutamente false.

Spesso mi domando cosa sarebbe successo se il piano della polizia alla Diaz fosse stato portato a termine; sarei stato ingiustamente condannato e avrei scontato 15 anni in una prigione italiana, senza nessuna pietà. Quasi 12 anni dopo quella fatidica notte, ogni misericordia disponibile viene dispensata solo a favore di questi poliziotti, da un sistema legale che è incapace di proteggere i diritti delle vittime.

Il mio caso, in particolare, è stato archiviato perché nessuno dei molti poliziotti e funzionari presenti si è fatto avanti per testimoniare. A quanto pare nessuno ha visto o ha sentito, nonostante in quel momento io fossi l’unica persona in strada, sulla quale si sono accaniti i poliziotti. Vi prego di consultare la richiesta e il decreto di archiviazione del procedimento aperto per tentato omicidio in mio danno, se desiderate acquisire familiarità con il mio caso personale.

Anche se il desiderio dei poliziotti condannati di mandare le vittime in carcere per coprire i loro crimini non si è realizzato, le vittime hanno comunque dovuto subire una realtà se possibile ancora più insidiosa.

La maggior parte delle vittime internazionali del raid alla Diaz sono state illegalmente deportate nei loro paesi di origine, dove sono state accusate dai loro governi, e talvolta anche da amici e parenti, di essere criminali ed hanno dovuto affrontare un particolare tipo di discriminazione. I livelli di povertà e la profondità del danno sono estremamente elevati tra le vittime della Diaz. Alcuni di noi si sono ridotti ad essere senzatetto e a vivere per strada, ed è stato estremamente difficile essere trattati come terroristi dalle autorità del proprio paese, solo perché tutti hanno creduto alle menzogne raccontate da questi superpoliziotti condannati.

Per quelle vittime che non si sono fatte intimidire dalla prepotenza, dalle menzogne e dall’odio puro della polizia e che hanno osato tornare a Genova per lo svolgimento dei processi, è stato come vivere in una guerra in cui entrambe le parti si scrutano l’un l’altra attentamente, mentre il processo va avanti. Ogni volta che vedo poliziotti italiani divento incredibilmente nervoso. E’ così per tutti noi. Per noi le forze dell’ordine e i tutori della legge rappresentano la paura, il dolore, la tortura, il controllo totale della popolazione.

La vita per me a Genova è stata ed è sempre molto intensa. Viviamo tutti la paura che un giorno uno di noi incontrerà uno dei poliziotti della Diaz e le minacce già date saranno realizzate. Non riesco mai a rilassarmi quando sono in Italia. La maggior parte di noi si sente come se dovesse giocare perennemente al gioco del gatto col topo, per rimanere in vita qui.

E’ proprio per l’arroganza e per la completa mancanza di rimorso dei comandanti condannati, che dovrebbe essere applicata la massima sanzione possibile. Da parte dei condannati non ci sono state scuse significative né tantomeno alcun senso di rimorso. Non c’è stata e non c’è ancora nessuna collaborazione da parte loro sulle questioni in sospeso del caso Diaz. Tutti, in diversa misura, hanno eluso le domande, sono rimasti in silenzio nonostante il loro coinvolgimento fosse testimoniato da prove schiaccianti e hanno raccontato una marea di bugie alla stampa, rifiutandosi però di testimoniare in tribunale. Solo dopo la loro condanna in Cassazione alcuni di loro hanno dichiarato la propria innocenza, come Fournier e Canterini. Per le vittime della Diaz, i loro deboli tentativi per evitare la prigione, sono l’ultimo modo che hanno per sfuggire alle loro responsabilità per il raid.

Per quanto riguarda la verità su ciò che è realmente accaduto, la Procura ha affermato che c’è stato un vero e proprio muro di silenzio al quale, per una regola non scritta, ogni poliziotto si è attenuto. Questo muro di silenzio dai comandanti condannati, da tutta la polizia italiana e dal Ministero dell’Interno è assordante per le vittime della Diaz. Esso ha permesso ai poliziotti condannati, lungi dal mostrare rimorso o colpevolezza, di intimidire, mentire, ostacolare le indagini e distruggere le prove, nel tentativo di sfuggire all’azione penale. Ha inoltre impedito a me e ad altre vittime di avviare un processo per tentato omicidio, contro i già condannati superpoliziotti.

Infine, come detto sopra, l’irruzione alla Diaz è stata la pagina più nera della storia della polizia italiana. La sentenza definitiva della Corte di Cassazione deve essere accolta e, dal punto di vista delle vittime, ai comandanti di polizia condannati si dovrebbe applicare la massima sanzione possibile, in modo che ciò serva da esempio ad altri poliziotti su cosa non fare durante un’incursione per la ricerca di armi (Tulps 41).

In conclusione, prego il Tribunale di prendere in considerazione anche la voce delle vittime nella decisione che dovrà prendere.

Come post-scriptum, trascrivo di seguito questa poesia chiamata ‘Total Eclipse’. E’ stata scritta da un’anonima vittima della Diaz nel 2006.

Yours sincerely

Mark Covell

 

 

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